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Jan Brokken, in transito verso i fantasmi prediletti

Jan Brokken, in transito verso i fantasmi predilettiBram van Velde, «Senza titolo», 1977

Scrittori olandesi Aneddotico e svagato, Jan Brokken incontra gli artisti – da Mahler a Morandi, da Debussy a D’Annunzio – con cui è più in sintonia: «L’anima delle città», Iperborea

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 31 ottobre 2021

Che tra l’Olanda e la geografia ci sia un amore antico lo dice la storia, almeno quella dal XVI secolo in poi. Una postazione al contempo marginale e strategica, sul boccascena dell’oceano, ha istigato nei secoli tanto desideri di conoscenza quanto voglia di rivalsa. Al tempo delle conquiste coloniali tutto ciò si tradusse nell’esercizio di un potere che esportò le sue bandierine dall’Asia, dall’Africa, dall’America. Se nelle arti sia al lavoro solo la conoscenza o entri in gioco anche la rivalsa non è chiaro, ma è certo che tre fra i migliori scrittori viaggiatori del presente sono iscritti all’anagrafe olandese: Cees Nooteboom, Frank Westerman e Jan Brokken appartengono a generazioni diverse, ma hanno avuto in comune il desiderio di spingersi in capo al mondo.

Da qui, l’attitudine a fare reagire la letteratura alla prassi di avventurarsi a piedi nell’ignoto geografico usando come binocolo l’ignoto dalla propria psiche, ciò che c’è di sconosciuto nell’essere umano, per provare a tracciare i confini di quanto umano non è. «Hic sunt leones» scrivevano i primi cartografi, nell’atto di disegnare sulle mappe i confini della loro esperienza. Dove non c’è certezza, lì comincia la letteratura, lì si affaccia il personaggio.

Ingegneri di anime, Westerman, Nooteboom, Tumbas e il Brokken di Anime baltiche (tutti pubblicati da Iperborea) sono tre libri imparentati tra loro, e forse non a caso due su tre portano l’anima nel titolo, e il terzo allude direttamente ai trapassati. Alla terna si aggiunge ora L’anima delle città, di Jan Brokken (traduzione di Claudia Cozzi, Iperborea, pp. 352, € 19,00) quasi un punto di congiunzione fra i tre autori.

Flâneur metropolitano
Nooteboom è essenzialmente un poeta, Westerman un giornalista, mentre Brokken è un flâneur che si aggira per il pianeta con una attitudine insieme serafica, erudita e sottilmente nostalgica. La sua prosa non raggiunge mai i picchi metafisici di Nooteboom né la chiarezza innegoziabile di Westerman, ma ha il passo ramingo e ispirato di chi cerca un posto per se stesso nel mondo, attraverso una qualche forma di arte. In ogni suo libro, Jan Brokken intreccia i fili del proprio essere un elegante randagio con i fili di alcuni tra gli esuli – da Nabokov a Brodskij, da Rachmaninov a Rothko a Arendt – che solo attraverso la loro arte hanno ritrovato una casa.

L’anima delle città convoca sulla pagina coloro che Brokken desidera incontrare, almeno nello spazio della scrittura, e dunque la sua è una chiamata all’appello delle anime di Mahler, Morandi, Donizetti, Debussy, Satie, Nishida, in una trama aneddotica e svagata a un tempo, ma sempre accurata nelle ricerche che sono alla base del libro. Quanto alle città presenti nel titolo, esse sono in fondo più il luogo dell’inseguimento di Brokken che non il contesto in cui cercare di dare conto di ciò che resta comunque inspiegabile di una vita e di un’opera. Morandi non si allontana mai da Bologna, Mahler viene adottato da Amsterdam; ma non è questo il punto.

Il punto è che Bologna e Amsterdam diventano il terreno, per Brokken, di una battuta di caccia, in cui è lo stesso autore a voler stanare – non per abbatterle, ma anzi per incontrarle – le anime di quegli artisti che nel corso degli anni si sono insinuati nella propria psiche. Cercarli si risolve, insieme, nel saldo di un debito, e in uno scandaglio di sé.

Incontro è la parola chiave di questo libro, e forse dell’intera opera di Brokken, uno scrittore così anomalo nel suo essere perfettamente contemporaneo. L’esercizio di fare incrociare il proprio destino con quello degli artisti assenti in un teatro di città, di strade, di muri e di piazze, procede parallelamente a quel genere specifico di incontro che ogni forma di arte prevede e promuove: tra l’autore e i suoi destinatari, e poi ancora fra i destinatari tra loro. È così che tra le pagine dell’Anima delle città vengono in superficie coloro che meglio si prestano a traghettare Brokken verso l’incontro con i suoi fantasmi: la Mimma che lo accompagna per le strade di Bergamo a cercare tracce di Donizetti, o la Ryoko che a Kyoto conduce l’autore lungo gli itinerari di Nishida.

Pubblicati in prima battuta singolarmente nel torno di alcuni anni su riviste e cataloghi, poi raccolti e tenuti insieme – con qualche inevitabile forzatura – dal filo conduttore della presenza delle città, proprio nel loro ritrovarsi insieme questi testi acquistano un significato e una consistenza maggiore. La Cagliari di Eva Mameli Calvino, madre di Italo, la Parigi di Satie, e l’Arcachon di D’Annunzio costruiscono, insieme alle altre città, l’arazzo di una geografia del sentire, disegnano una mappa dello spaesamento più che ricondurre a cittadinanze reali.

Sassolini raccolti in strada
È nello spazio del territorio in cui si abita che l’inquietudine dell’artista si deposita, ed è tanto inevitabile quanto fallimentare il tentativo di stabilire corrispondenze troppo dirette tra la solidità dei luoghi e i crepacci nella mente degli artisti. Brokken non cerca di costringere i suoi fantasmi a farsi portavoce dei luoghi che hanno calpestato nel loro transito terrestre. E consegna ai lettori un altro capitolo di quel lungo e personale diario che libro dopo libro va costruendo, da Anime baltiche a I giusti: lo va costruendo mentre raccoglie in giro per il mondo tutti i sassolini che altri, scrivendo, dipingendo, componendo, hanno seminato per lui e che, per una qualche forma di intuizione, sa essere anche suoi.

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