Cultura

Jamileh Kadivar, la forza politica delle iraniane

Jamileh Kadivar, la forza politica delle iranianeJamileh Kadivar

FESTIVAL TAOBUK Esponente del movimento d’opposizione Onda verde, oggi alle 17 sarà ospite (in dialogo con Farian Sabahi) a Taormina, Palazzo Ciompoli, per discutere della rivoluzione del 1979

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 26 giugno 2018

«Quando è scoppiata la rivoluzione avevo quattordici anni, partecipai alle proteste ma non votai nel referendum che sancì l’istituzione della Repubblica islamica. Non misi la scheda nell’urna, ma partecipai come osservatrice in un seggio elettorale». Esordisce con questo ricordo Jamileh Kadivar, ospite del Taobuk di Taormina per discutere della Rivoluzione del 1979 e del potere politico delle donne. Esponente del movimento d’opposizione Onda verde che nel 2009 dovette soccombere ai brogli e alla repressione, aveva militato a fianco di Mehdi Karrubi, ancora agli arresti domiciliari come Mir Hossein Musavi e Zahra Rahnavard. Jamileh è stata consulente per le questioni mediatiche di Khatami, membro nella giunta municipale di Teheran e deputata. Suo fratello è l’hojatolleslam Mohsen Kadivar (allievo del Grande Ayatollah Montazeri) e il marito è Ataollah Mohajerani (già ministro della Cultura con il presidente Khatami eletto nel 1997): una famiglia impegnata sul fronte riformatore.

Quanto sono importanti le questioni di genere in Iran?
Avevano una valenza politica nella monarchia e ancor più oggi nella Repubblica islamica a causa delle pressioni occidentali e del velo obbligatorio, diventato simbolo politico: difenderlo è un modo per dire no alle interferenze straniere.

Quanto potere politico hanno le iraniane?
Ne hanno più oggi che al tempo dello scià, perché il potere politico è la capacità di accedere, influenzare, controllare, cambiare e creare nuovi discorsi politici. Il potere non è limitato alla semplice presenza nelle istituzioni, che non sono la sola fonte di potere, ma si estende alla società civile.

Lei è laureata in Scienze politiche e ha insegnato all’Università di Teheran, dove due matricole su tre sono donne. Come giudica il modo in cui la stampa occidentale scrive delle iraniane?
Utilizzando i dati forniti dai gruppi d’opposizione e da gente che abita fuori dal paese e non ha informazioni aggiornate, passa l’immagine di vittime inermi di un sistema teocratico che non fa che opprimerle. Questo stereotipo è in parte dovuto al velo obbligatorio, e in parte alla volontà di ignorare i progressi compiuti dal 1979 ad oggi.

Quali tasselli mancano al lettore occidentale per comprendere «l’universo femminile» iraniano?
La propaganda contro l’Iran omette il fatto che in questi quattro decenni le iraniane hanno migliorato le proprie condizioni di vita da sole, senza aiuti stranieri. Oggi le iraniane sono presenti in molteplici settori, anche in politica. Gli ostacoli sono tanti, ma non hanno perso la speranza nel futuro. E non è stato l’Ayatollah Khomeini a relegare le donne al ruolo di casalinghe, tant’è che dichiarò: «Le signore hanno il diritto di interferire in politica, è loro dovere e responsabilità». Detto questo, l’accesso delle donne all’arena politica ha portato allo scontro tra due diverse fazioni: per i tradizionalisti la donna è solo moglie e madre; i riformisti non colgono invece alcuna contraddizione tra il ruolo in famiglia e le attività sociopolitiche, portano a esempio le prime musulmane che combatterono a fianco del profeta Maometto, e ricordano che le iraniane hanno partecipato alla Rivoluzione del 1979 e dato il loro contributo nella guerra scatenata da Saddam Hussein nel 1980. Come in altri casi, con gli uomini al fronte, le donne furono costrette ad assumere ruoli in diversi ambiti.

L’Iran è al 177esimo posto nel report delle Nazioni Unite «Women in Politics»: le deputate sono soltanto 17 (su 290)…
Il potere politico non sta solo nelle istituzioni ma anche nella società civile, tant’è che le donne sono sempre presenti nelle dimostrazioni di protesta. Poco alla volta la presenza femminile nelle istituzioni è diventata la norma. Era stato Khatami a infrangere il tabù, scegliendo cinque donne consulenti. Nel 2009 Ahmadinejad aveva optato per tre ministre. L’attuale presidente Rohani ha due vice presidenti, un’assistente e una donna ambasciatore. Nei prossimi tre anni un terzo delle posizioni manageriali dell’esecutivo dovrà essere occupato al femminile. Le quote rose sono una forma di discriminazione positiva che può funzionare.

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