Jacob Grimm e le identità multiple che si intrecciano nella letteratura
SAGGI «La saga di Polifemo. L’archetipo del ciclope», per Bollati Boringhieri
SAGGI «La saga di Polifemo. L’archetipo del ciclope», per Bollati Boringhieri
Finalmente edito in italiano grazie alla traduzione e alla curatela dell’estetico Francesco Valagussa, questo breve saggio di Jacob Grimm (1785-1863) mostra come l’epopea di Polifemo sia antica ed estremamente diffusa nell’ambito della letteratura universale.
DAL MOMENTO che se ne trovano tracce, per esempio, tra gli estoni, i persiani, i tatari, i careliani, i rumeno-transilvani, sulle montagne norvegesi, in una raccolta di fiabe serbe, persino in alcuni racconti popolari finlandesi e anche in Germania.
Nel suo scritto intitolato La saga di Polifemo. L’archetipo del ciclope (Bollati Boringhieri, pp. 109, euro 12), il filologo e narratore romantico che è stato autore, insieme al fratello Wilhelm Karl, delle celebri Fiabe nonché del fondamentale Dizionario tedesco, rintraccia ed esamina una decina di varianti di tale archetipo provenienti dai contesti letterari più diversi. Egli prova inoltre a decifrare i vari significati racchiusi nella leggenda cercando, da ultimo, di ipotizzare l’esistenza di alcune linee di derivazione.
Riguardo però alle numerose versioni della leggenda prese in considerazione, Grimm osserva: «Ognuna si basa su un proprio motivo e su un terreno che viene limitato o ampliato in una sua maniera peculiare: in nessuna di esse si trovano segni di imitazione, tanto meno di trasmissione. Prese tutte insieme, ci fanno soltanto presagire il contenuto completo o la profondità della fonte originale, che a noi risulta inaccessibile».
POSSIAMO COGLIERNE dunque soltanto i figli, le infinite interpretazioni che altro non sono se non il modo in cui le varie epoche e le differenti discipline si specchiano nel mito stesso. Un mito, sottolinea Valagussa, che dovremmo abituarci a leggere come un tessuto all’apparenza integro ma, in realtà, «pieno di strappi rattoppati, cuciture, rammendi che si sovrappongono a orditi preesistenti».
Alla ricerca di un fulcro, di una Urzelle o cellula primordiale, Grimm intuisce sorprendentemente come l’Odissea non costituisca il principio della saga ma ne sia al contrario uno dei punti di arrivo. Sono invece i canti mitici della preistoria a celebrare – a suo avviso – l’origine del mondo e i movimenti di forze potenti ma ostili: lo scontro, vale a dire, tra gli elementi del cielo e degli inferi, dell’estate e dell’inverno, del giorno e della notte che si rispecchiano nei conflitti etici tra benedizione e rovina, amore e odio, gioia e dolore.
VA INFINE MESSO IN RILIEVO come l’analisi condotta da uno spirito romantico quale egli è stato consenta al lettore di gettare lo sguardo su un panorama inatteso: non esiste cultura che non sia permeata, alimentata e nutrita quotidianamente da un generoso apporto di narrazioni, usanze e consuetudini appartenenti a tradizioni tra loro lontane.
La saga di Polifemo illustra insomma la ricchezza delle identità multiple che derivano dai concetti di cultura e nazione. Intrecciando etica, fiaba e immaginazione, lo studioso tedesco ci regala un’opera originale e stimolante, in bilico tra letteratura e filosofia, capace di individuare nessi all’apparenza remoti ma che presentano un fondamento comune malgrado l’inesorabile trascorrere del tempo, la diversa collocazione geografica, le configurazioni più diverse. Una leggenda che continua a mantenere nascosto il luogo della propria origine ma, per concludere con le parole di Grimm, «irrompe in cieli remoti, attraversa i secoli, scompare e riappare con forza immutata».
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