Visioni

Jaco Pastorius oltre le linee di basso

Jaco Pastorius oltre le linee di bassoJaco Pastorius, 1981

Note sparse A trent'anni dalla tragica scomparsa, l'artista americano oggetto di riscoperte discografiche. Come «Truth, Liberty & Soul: Live in NYC 1982», un album che raccoglie alcune registrazioni nella Grande mela

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 settembre 2017

Nei mesi scorsi l’album Truth, Liberty & Soul: Live in NYC The Complete 1982 Jazz Alive! Recording per la Resonance Records ha riportato l’attenzione sul bassista Joseph Francis Anthony Pastorius III detto Jaco, nato a Noristown il 1° dicembre 1951, ma di cui in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario dalla tragica scomparsa: la notte dell’11 settembre 1987, ubriaco e strafatto, viene aggredito al Midnight Battle Club (Fort Lauderdale) dal buttafuori che non lo riconosce: dopo il pestaggio resterà in coma irreversibile per dieci giorni. Tuttavia il problema della tossicodipendenza resta per Jaco quasi una costante di una vita tutta «genio e sregolatezza»: è la causa dell’allontanamento dai Weather Report, band dove diventa una rock star nel manifestare appieno la propria fantasia musicale, per la quale viene ancora oggi ricordato da tutti i bassisti elettrici di ogni stile, levatura, professionalità.

Pastorius inventa o comunque porta all’acme, la tecnica del basso strappato, nel far sì che lo strumento non solo risulti più funky, ma soprattutto esegua perfettamente le linee melodiche; con il pollice snodato regala altresì assolo furiosi su uno sgangherato fender jazz, simbolicamente lavorando su quanto Jimi Hendrix rivoluziona alla chitarra circa dieci anni prima. Del resto il basso cosiddetto fretless viene usato nel rock già nei Sixties con Bill Wyman, John Paul Jones, John Entwhile, ma Jaco ne reinventa l’immaginario e ne rimuove i tasti riempiendoli di mastice e rivestendo il manico con strati di resina epossidica e marina, onde approdare a un sound unico nel suo genere. Ma ritenere Pastorius solo il grande bassista dei Report di Shorter e Zawinul o lo swingante accompagnatore di Joni Mitchell o ancora il jolly creativo in tantissimi dischi (jazz, rock, pop, reggae, soul), è fare un torto al musicista in quanto bandleader e compositore.

Ciò che per fortuna sta emergendo appieno negli ultimi anni, è proprio il Pastorius autore, alla testa ad esempio della Word of Mouth Big Band: pur nell’attività irregolare e altalenante dei concerti e degli ellepì ufficiali (e dei cd postumi fra i pochi live disponibili) affiora una duplice intuizione da parte dell’artista: da un lato l’impiego della grande orchestra in un contesto fusion, dove la componente rock non risulti solo banale rivestimento e dall’altro lato la possibilità di far interagire il basso elettrico – anche quale strumento solista – con la massa delle sezioni fiatistiche.

Oggi, per ricordare degnamente un grande del jazz (e della musica in toto di fine Novecento) lo si può anzitutto disco graficamente amare nella bella raccolta Punk Jazz: The Jaco Pastorius Anthology (2003) oppure nei sei LP weatheriani tra il 1976 e il 1982 – o ancor meglio nell’esordio collettivo Pastorius/Metheny/Ditmas/Bley (1974) e nei due album solisti usciti in vita Jaco Pastorius (1976) e Word of Mouth (1982), benché siano alcuni live postumi da The Birthday Concert (1981, ma edito nel 1995) a Holiday For Pans (1982, bootleg del 1993) a render meglio l’energia e la propulsività di un performer a tutto tondo. E in tal senso il recente doppio Truth, Liberty & Soul: Live in NYC The Complete 1982 Jazz Alive! resterà un documento ineludibile.

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