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Jackie Chan dalla Cina con Dragon Blade

Jackie Chan dalla Cina con Dragon BladeDragon Blade

Far East Fino al 2 maggio Udine si trasforma nella città più asiatica del pianeta con il suo tradizionale festival dedicato all'estremo oriente

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 aprile 2015

Sembra ieri quando ci recammo alle prime edizioni del Far East, edizioni ruspanti ma sempre molto vive ed eccitanti, eppure le candeline sulla torta per la manifestazione festivaliera sono diciasette. Un’età alla soglia della maturità ma che porta ancora con sè la voglia di ribellione e la libertà creativa della gioventù, un periodo, anche per un festival, che non è ancora età matura ma che non ha neanche più la fragilità e l’inesperienza degli inizi. Al di fuori di metafora, ancora una volta il capoluogo friulano sarà per alcuni giorni la cittadina occidentale più asiatica del pianeta, ospitando un evento cinematografico che molti appassionati di tutto il mondo ci invidiano, un ineguagliabile showcase di cinematografie pop e di genere provenienti da tutto il continente asiatico che gli organizzatori assieme a tutti i consulenti sparsi per l’estremo oriente hanno saputo in costruire, far evolvere e consolidare in quasi due decenni di attività. Venti anni che hanno visto gli equilibri geopolitici ed economici del mondo intero e quindi anche dell’Asia stessa venir stravolti e riplasmarsi in forme diverse, con la creazione di nuove ed inevitabili fratture sociali e faglie politiche, con il cinema e più che mai quello popolare e di largo consumo che funziona come spesso accade in questi casi, come sonda privilegiata, almeno per lo spettatore più attento, per captare nuovi possibili scenari e linee di fuga con cui allo stesso tempo mappare il presente e cercarvi delle vie d’uscita.

Anche per questa edizione come sempre più spesso è accaduto recentemente, il panorama è allargato, più ampio di quello degli inizi e non può essere altrimenti in una contemporaneità tecnologica a cui tutti i paesi cercano avidamente di partecipare. Si vedranno infatti al Far East numero diciasette lavori da ben 11 realtà produttive differenti, Hong Kong, Cina, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Thailandia, Vietnam, Indonesia, Filippine, Singapore e la debuttante Cambogia. Naturalmente quantitativamente faranno la parte del leone i paesi con una tradizione cinematografica più forte, ma a maggior ragione opere mainstream da paesi quali Cambogia, Vietnam o Indonesia saranno altrettanto, se non di più, interessanti.

Il festival è stato ufficialmente aperto dall’attesissimo concerto di Joe Hisaishi giovedi 23, il maestro giapponese compositore delle musiche di molti film di Takeshi Kitano e Miyazaki ha infatti diretto la RTV Slovenia Symphony Orchestra in un concerto i cui biglietti sono stati venduti, sorprendentemente, in meno di 24 ore. Ma ancora oggi venerdì 24 sul tappeto rosso del festival sfilerà nientemeno che Jackie Chan, a Udine per presentare al pubblico il kolossal Dragon Blade di Daniel Lee, una mega produzione cinese che nel cast oltre al famoso attore asiatico vede anche Adrien Brody e John Cusack.

Tutta da gustare è naturalmente la presenza sud coreana al festival, una cinematografia definitivamente esplosa e non solo a livello di art house film ma che ha saputo portare qualità anche nel cinema cosiddetto popolare e che il Far East ha visto, e forse anche contribuito, a portare dove si trova oggi.

Una delle opere più attese della manifestazione è senza dubbio The Continent, anteprima internazionale e opera prima di Han Han, uno dei blogger cinesi più popolari in patria dove gode di un seguito oceanico, 450 milioni di accessi all’anno e circa 15.000 commenti giornalieri. Han Han, definito uno dei personaggi più influenti dell’intera Cina, con la sua attività in rete e quella letteraria indaga e ed esplora le vite e le problematiche dell’attuale generazione dei trentenni cinesi e di un paese più che mai in flusso, tematiche che ha provato a trasporre in immagini con questo suo debutto cinematografico. The Continent è stato definito come “un insolito road movie” che descrive “ lo svuotamento delle campagne e l’urbanizzazione sfrenata delle metropoli, il benessere come detonatore di contraddizioni sociali e la corruzione degli apparati statali”, insomma gli argomenti che lo rendono un lavoro tutto da scoprire ci sono tutti.

Sul versante giapponese, le opere interessanti sono più d’una, Il documentario dedicato allo Studio Ghibli, per la verità al solo Miyazaki, The Kingdom of Dreams and Madness, ma anche il dittico Parasyte 1 e 2, opere ispirate al manga omonimo e dirette da Takashi Yamazaki, il re mida del cinema giapponese i cui film negli ultimi anni sono stati spesso campioni d’incassi nel Sol Levante. Parasyte è un SF horror con lampi di comicità di buonissima fattura, almeno per quel che riguarda il primo episodio che abbiamo avuto modo di vedere qui in Giappone nel 2014, con effetti speciali all’altezza, curati dallo stesso Yamazaki, e con delle prove attoriali convincenti, soprattutto quella del protagonista Shota Sometani, ancora una volta molto bravo nell’interpretare Shinichi, il ragazzo che si ritrova improvvisamente catapultato in un mondo orrorifico con un parassita/mostro al posto della mano destra e costretto a salvare l’umanità da un’invasione aliena. Sometani che ricordiamo è stato lanciato proprio in Italia quando nel 2011 vinse il premio Mastroianni a Venezia per la sua interpretazione in Himizu di Sion Sono e che sempre di più sta diventando l’attore giapponese più richiesto, nonostante ciò il giovane resta ancora molto legato ale sue “origini” indie ed underground, lo vedremo ad esempio nell’ultimo lavoro di Ishii Gakuryu (ex Sogo), That’s It che uscirà nelle sale giapponesi in maggio. In questo senso la sua carriera sembra ricalcare in parte, con tutte le differenze del caso, quella di Asano Tadanobu, volto della nuova onda del cinema giapponese degli anni novanta e che ha una parte importante, quella del malvagio di turno, proprio nel secondo capitolo di Parasyte.

Restando sempre in Giappone ma spostandoci da un campione d’incassi ad una produzione indipendente e da un attore emergente/emerso ad una attrice di grande spessore che si sta dimostrando sempre più talentuosa, al Far East sarà presentato 100 Yen Love, film diretto da Masaharu Take ed interpretato da Sakura Ando. L’attrice giapponese, anche lei lanciata da Sion Sono in quel capolavoro che è Love Exposure, interpreta qui una ragazza di 32 anni che vive ancora con i genitori, una nullafacente che passa le sue giornate a giocare ai videogiochi e a dormire. Dopo un violento litigio con la sorella, ritornata a casa con il figlio dopo un matrimonio fallito, Ichika, questo il suo nome, decide di andare a vivere da sola e di trovarsi un lavoro. Comincia così a fare il turno notturno in un 100 Yen Shop dove viene a contatto con una serie di persone fallite e stralunate come lei. Passando ogni giorno accanto ad una piccola palestra dove si insegna pugilato, la ragazza si sente attratta da un uomo che lì si allena prima e dallo sport in particolare poi. Tutto il film, che ricordiamo è per produzione e per stile visivo un lavoro indipendente girato con pochi mezzi economici, si regge sull’incredibile performance d’attrice che Ando riesce a donare all’opera, 100 Yen Love è un film che può piacere o non piacere, alcune scene in particolare hanno sollevato più di qualche critica per la loro gratuità ed un velato maschilismo, ma non si può non rimaner affascinati dalla trasformazione fisica che la performance dell’attrice nipponica porta con sè. Sakura Ando nel corso delle quasi due ore del film infatti muta letteralmente e fisicamente in un altro personaggio/persona da quello da cui era partita ed è proprio questa trasformazione a sostenere i 30-40 minuti battenti finali del film, un’accelerazione filmica ed una cavalcata adrenalinica sostenuta ed amplificata anche grazie alla rabbiosa musica dei CreeoHyp.

Importante e quasi storica è la partecipazione al Far East poi di un film cambogiano, The Last Reel, la prima volta di un’opera del paese asiatico a Udine, che inevitabilmente, seppur in una trama incentrata sulla bobina mancante di un vecchio film, finisce con il confrontarsi con il tragico passato, purtroppo sempre molto presente, della dittatura dei Khmer rossi. Film che cerca quindi anche di far rinascere attraverso aiuti produttivi australiani, una filmografia, quella cambogiana, che fra il 1965 ed il 1975 riuscì a sfornare bel 300 pellicole.

Dieci giorni di Asia e cinema a Udine, dieci giorni in cui il Far East coinvolgerà la cittadina friulana e tutti gli appassionati che vi si riverseranno dalla mattina a notte fonda, con la settima arte naturalmente ma anche con una serie di attività collaterali quali workshop, incontri ed una serie praticamnete illimitata di eventi a tema asiatico. Che la festa abbia inizio.

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