Era destino? A Rolle, un paesino sul lago di Ginevra, nell’arco di pochi giorni se ne sono andati due giganti: prima Jean-Luc Godard (91 anni), poi Jean-Marie Straub (89 anni). Vicini non solo di casa anche se stilisticamente opposti: «giocoliere sperimentalista» l’uno, «artigiano contadino» l’altro. Politicamente puri e duri entrambi.
Saluto Anne-Marie Miéville, che resta con noi, e Danièle Huillet, che ci ha già lasciati (ma c’è Barbara Ulrich).
Ho conosciuto Jean-Marie, da solo, a Mannheim, quando ha fatto vedere Nicht Versöhnt oder Es hilft nur Gewalt, wo Gewalt herrschft (Non riconciliati o Solo violenza aiuta dove violenza regna,1965), senza sottotitoli, illustrando dopo la proiezione a un gruppetto, servendosi di fotogrammi ingranditi, la complessa struttura narrativa del film. Nello stesso anno l’ho rivisto in una proiezione privata pagata da Godard a margine della Mostra di Venezia, stavolta con sottotitoli in italiano perché il film era stato in concorso a Bergamo.

ENTUSIASTA, ho proposto alla Mostra di Pesaro del 1966 di aprire una finestra sul nuovo cinema tedesco con film scelti da Jean-Marie: oltre a Non riconcilati e al folgorante cortometraggio Machorka-Muff (1962), film di Klaus Lemke e Rudolph Thome (nello stesso anno Venezia avrebbe proposto altri film del Neuer Deutscher Film da cui Jean-Marie si teneva a distanza).
Ne ho scritto su «Nuovi Argomenti» (una pausa dopo aver sbattuto la porta a «Filmcritica» e in attesa di fondare «Cinema & Film»).
Su questo trimestrale lo spazio alla coppia è stato subito ampio (nel primo numero: sceneggiatura desunta e nota introduttiva di Jean-Marie).

Scena da Una visita al Louvre

Per loro conto ho accompagnato il film a Milano, dove lo ha visto Franco Fortini: entusiasta (donde, forse, Fortini/Cani, 1976). Poi contatti continui con loro in Germania, per la rivista e non solo. Avevano bisogno di «chiudere» la produzione di Chronik der Anna Magdalena Bach (1968): ho proposto loro Gian Vittorio Baldi, con cui lavoravo. Hanno chiuso mettendo Paolo Carlini in una minuscola parte per giustificare la coproduzione. Ad Assisi, dove il film è stato invitato in loro assenza, ho tradotto in diretta in italiano il testo tedesco (lingua che non conosco, servendomi del testo pubblicato nel mio trimestrale).
Ai primi del 1969 si sono spostati definitivamente da Monaco e sono approdati a casa mia a Roma in vicolo del Governo Vecchio 8, con un pulmino carico della loro biblioteca. Perché volevano girare Othon da una tragedia poco conosciuta di Pierre Corneille. Sparsi i libri a pile sul pavimento, si sono installati alla bell’e meglio nel mio appartamentino di 70 mq. E si sono messi subito a cercarne uno per loro. Allora era facile sistemarsi a Roma e dopo una settimana erano a Piazza della Rovere, poco distanti da me e dal Filmstudio 70 in via Orti d’Alibert, che frequentavamo spesso.
Parlavo francese correntemente e anche per questo mi hanno chiesto di interpretare il ruolo dell’imperatore romano Otone nel loro film intitolato con due versi di Corneille: Les yeux ne veulent pas en tous temps se fermer ou Peut-être qu’un jour Rome se premerttra de choisir à son tour (Gli occhi non vogliono in ogni tempo chiudersi o Forse un giorno Roma si permetterà di scegliere a sua volta), uno detto nel film da me nell’inq. 41, l’altro da Olimpia Carlisi nell’inq. 39. Due mesi di prove nella loro nuova casa con gli altri interpreti, fra cui Olimpia, giovane diplomata attrice al CSC di cui mi ero invaghito e che gli ho presentato. Sarebbe stata Camilla, e nella ardua scansione dei versi di Corneille non avrei mai ben capito se, nella finzione, ero innamorato di Camilla o di Plautina, interpretata dalla figlia di Freddy Buache, il direttore della Cinémathèque di Losanna, Anne Brumagne. E sospetto che Jean-Marie giocasse su questa mia confusione «privata».
Le riprese sono state rapide: ad agosto, sulla terrazza di Settimio Severo al Palatino e presso una fontana a Villa Doria Pamphilj. Jean-Marie ci guidava come un direttore d’orchestra. Ognuno degli interpreti aveva un accento diverso (eravamo italiani, francesi, svizzeri, inglesi, argentini) e una cadenza diversa: io velocissimo, ma Jean-Marie voleva che comunque ogni parola fosse ben scandita; Ennio Lauricella (Galba) lentissimo; e gli altri a ritmi mediani. Lo «spartito», che conservo, era segnato dalle istruzioni: qui pausa, là «legato», ecc. ecc.

DANIÈLE, sempre di spalle rispetto alla scena, ascoltava alle cuffie. Era lei ad avere l’ultima parola sulla riuscita del ciak (due buone per ogni inquadratura). Un pomeriggio, durante le riprese della lunghissima inq. 15 (4’36”) con me, Plautina e Vinio (padre di Plautina), Anthony Pensabene si inceppava ogni volta. Più o meno al 35° ciak sono io che do lo stop sicuro di essermi a mia volta inceppato. Costernazione (nessun attore dovrebbe permettersi di farlo). Danièle mi fa ascoltare la registrazione: era «buona». Ricominciamo. Jean-Marie è sfinito: «Che facciamo?» mi chiede. «Rimandiamo a domani?». Avevano previsto solo 2 giorni di sforo dal piano di lavorazione in caso di pioggia. «No, riproviamo» gli dico. E il 45° ciak, l’ultimo o giù di lì, è quello che è nel film. E forse ce n’è stato un secondo buono «di riserva». (Successivivamente con i secondi ciak hanno realizzato versioni alternative dei loro film).
La «prima» romana è avvenuta al Filmstudio.
Una sera a una festa gli ho presentato una mia amica tedesca che viveva a Roma, Rita Ehrhardt: è stata la voce fuori campo di Anna Magdalena per la successiva versione italiana del film. Ho collaborato al sottotitolaggio in italiano di Non riconciliati, Cronaca di Anna Magdalena Bach, Othon, Geschichtsunterrricht (Lezioni di storia, 1972). Ho imparato da loro a fare una traduzione «letterale», anche se talvolta ostica: la stessa parola, se possibile, per la stessa parola dell’originale.
Sono anche in un’inquadratura di Fortini/Cani, alla finestra di casa loro (mi avevano avvertito un anno prima: «Sei libero il giorno tal dei tali?»), e in una di Moses und Aaron (Mosè e Aronne, da Schönberg, 1976), dove mi avevano anche chiesto di convocare un’amica, che sarebbe stata vista di spalle, nuda, in campo lungo, davanti a me e ad altri 3 gran sacerdoti con altrettante vergini sacrificali: ma che per carità non prendesse sole!

Una scena da «Othon» (1969)

NEGLI ANNI successivi i rapporti si sono un po’ rallentati. Solo un po’. Negli anni ’90 (o prima?) l’affitto di Piazza della Rovere era aumentato. Si sono trasferiti dove potevano pagare la stessa cifra di prima: in via dell’Imbrecciato, alla Portuense. Anche io, sposandomi, mi ero trasferito a via Alfonso Di Legge 49, non troppo lontano da loro.
Nel 1992, su proposta dei benemeriti Editori Riuniti, ho curato il primo libro che raccoglieva gli scritti di Jean-Marie e 5 sceneggiature: Testi cinematografici. Ho visto nel teatrino di Buti, in Toscana, la messa in scena di Sicilia! C’era anche Godard. (Nel 1970 Dacia Maraini aveva proposto agli Straub di fare a teatro Othon: tremavo alla sola idea. Per fortuna non s’è fatto).
Sono andato ai funerali di Danièle a Parigi. C’erano anche Godard e Anne-Marie. Jean-Marie chiedeva a tutti, anche a me, una pistola. Gli ho detto che era meglio se si beveva un bicchierino (cosa che faceva ogni volta che andavo a trovarlo all’Imbrecciato, scendendo al bar sotto casa per eludere Danièle che lo controllava). L’ho visto l’ultima volta quando sono andato a prendere lui e Barbara all’Imbrecciato per andare a Villa Medici, dove veniva proiettato all’aperto Lola Montès di Max Ophuls. Jean-Marie scalpitava per il suono. Arduo contenerlo.
Lo scorso inverno volevo andare a trovare a Rolle lui e Jean-Luc. Barbara mi ha detto che non stava bene, di rimandare all’estate. Godard non mi ha risposto.
Adesso li ho davanti a me entrambi. Fiat lux.