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Izabela Plucinska, trasformare il destino con le proprie mani

Izabela Plucinska, trasformare il destino con le proprie mani

Intervista I lati oscuri e i turbamenti dell’animo umano indagati attraverso la manipolazione della plastilina: i film d'animazione di una cineasta molto particolare

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 24 aprile 2021

Affondare le mani nella plastilina, modellarla, stringerla, sentire la sensualità della manipolazione manuale è sensazione appagante e creativa. Mostrare la materia plastica che filtra fluida fra le dita e prende forma e sembianze di personaggi e ambienti, condividendone le percezioni con gli spettatori è bravura artistica cinematografica. Fondere tecnica e poetica, animazione e narrazione, tradurre con immagini in movimento stati d’animo, turbamenti e desideri propri o storie surreali e visioni morbose di altri autori fuori dal coro come Topor fa parte dell’arte originale dell’animatrice Izabela Plucinska. Portrait en Pied de Suzanne (Ritratto in piedi di Suzanne, 2019, 14’53”), la sua più recente realizzazione tratta dal romanzo di Roland Topor del 1978, narra di un uomo bulimico e pervertito che identifica ossessivamente il suo amore perduto nel suo piede sinistro. Già l’apertura immerge lo sguardo nell’atmosfera ambigua, incerto fra un volto suino abbrutito e l’effettiva pancia strizzata e rilasciata attorno a un ombelico grande come una bocca. Le mani del protagonista stringono con sgomento e disprezzo per sé, come un’ artista modella e manipola della morbida argilla.

A Izabela Plucinska è dedicata quest’anno la retrospettiva di cinema d’animazione autoriale del 39° Bergamo Film Meeting. La cineasta a passo uno si è formata prima alla scuola cinematografica di Lodz (Polonia), poi alla Film University Babelsberg Konrad Wolf di Potsdam (Germania) dove si è laureata con il cortometraggio Jam Session (2005, 9’31”). Tratto dall’omonima pièce teatrale di Maciej Zenon Bordowicz, Jam Session conquista l’Orso d’argento della Berlinale per la sezione cortometraggi. In esso si delinea con schietta sensibilità uno dei suoi temi ricorrenti: la difficile relazione a due minata da noia, abitudine, rigida routine cui però può bastare un elemento inatteso, un colpo di vento, una penetrante musica da fuori, per dare una svolta revitalizzante.

Dai primi corti da studente a Lodz alle opere più recenti c’è stata una costante crescita per poetica, stile e tecnica. Quali sono le particolarità del tuo percorso artistico?
Grazie allo speciale modo di animare (i miei pupazzi sono stesi su vetro con la videocamera soprastante), riesco a ottenere l’effetto di un morbido mescolamento di colori e perfino di «pittura» con la plastilina. I miei film riguardano soprattutto i rapporti fra corpo e plastilina. Infatti in tutti i miei film compaiono situazioni simili, oggetti, come uno specchio, un giornale, una finestra. Il motivo per cui realizzo storie in plastilina è semplice: voglio presentare un lavoro in movimento, sensuale, corporeo, fisico, perfetto per essere rappresentato in plastilina.

Il passaggio in Germania che cosa ha aggiunto alla tua animazione?
Ho iniziato a studiare in Germania, a Babelsberg, nel 2003 quando si stava appena cominciando a utilizzare le videocamere digitali per l’animazione. Alla scuola di cinema a Lodz ho lavorato solo con la pellicola a 35mm con vecchie cineprese. Montavamo film in 35mm. La nuova tecnologia ha comportato un diverso approccio riguardo a creazione del set, sfondo, montaggio e animazione. È cambiato molto. La nuova tecnologia ci ha dato più opzioni. Talvolta c’è così tanto che ci si può perdere. Sono contenta di aver potuto fare il confronto fra il film in 35mm e il nuovo Canon Eos digitale.

Da Bordowicz a Topor, e fra gli animatori a partire da Švankmajer, a chi ti sei ispirata ad oggi?
Svankmayer è il mio maestro assoluto fino a qui. Mi piacciono davvero la sua magia e anche i suoi riferimenti politici e sociali. Mi piacciono molto le insolite animazioni in plastilina di Bruce Bickford con le musiche di Frank Zappa. La sua animazione presenta forme, immagini, follia in costante evoluzione. Certamente è importante per me la storia dell’animazione polacca, che è molto nutrita. Conosco molto bene le opere di Jan Lenica, Walerian Borowczyk e Zbigniew Rybczynski.

Izabela Plucinska


Come influisce sul tuo modo di fare film l’approccio fisico alla materialità (la plastilina che tocchi e modelli)?

Per lavorare molte ore al giorno con la plastilina devo essere rilassata. Perciò è un’attività terapeutica. Devi essere di buon umore, disconnessa da tutto il resto, essere concentrata sui macro movimenti. Si tratta di creare movimento, osservarlo e divertirsi.

La musica è elemento essenziale nei tuoi film, dalle ballate e il tango al blues e il rock. Come la scegli?
Sì, la musica e i suoni sono molto importanti. Ogni film è una storia diversa anche a seconda di dove sono i fondi. Non ho un particolare compositore abituale. Ho avuto la fortuna di lavorare alla National Film Board (NFB) in Canada con Norman Roger per Sexy Laundry, a Berlino con Max Knoth per il film Esterhazy e da Bologna con Andrea Martignoni sui film Evening e 98kg.

Alcuni elementi agiscono da deus ex-machina che risolvono le situazioni, come il vento nella «trilogia della quotidianità» e non solo. Cosa rappresentano per te?
I temi dei miei film sono i problemi relazionali, l’incomprensione, la solitudine, l’alienazione. Spesso una coincidenza o una forza esterna, come il vento, aiuta a superare il problema. Così anche una forma di plastilina che oltrepassi i limiti della logica. Grazie alla sua specificità, la plastilina può esasperare e distorcere la realtà, allo stesso tempo seducendoci con la sua morbidezza e illusione. È bene essere sorpresi.

In quali modi il tuo lavoro creativo si rapporta alla tua persona?
Sono costantemente aperta alle nuove sfide. Scegliere libri da adattare in animazione implica la scoperta di nuove emozioni, storie intelligenti, buoni dialoghi e conclusioni interessanti. Molto importante per me è anche il teatro, forse perché il tavolo su cui lavoro è per me un palcoscenico. Gli attori sono pupazzi fatti di plastilina. Il modo in cui prendono vita dipende da me. Amo il teatro, specialmente il Teatro dell’Assurdo, e voglio trasportare il pubblico in un viaggio attraverso un mondo surreale.

Come vedi l’azione artistica a sostegno del movimento di resistenza femminile polacca intrapresa lo scorso autunno dagli studenti di animazione di Lodz?
Gli studenti sono meravigliosi e hanno fatto i film così velocemente che l’ho saputo in seguito. È bene che i giovani vogliano essere attivi e coraggiosi. Sono azioni molto importanti e dimostrano che l’animazione ha un impatto sulle nostre vite e può cambiare qualcosa. Questi film hanno fatto rumore. Questo è il punto.

A cosa stai lavorando ora?
Al momento sto preparando un secondo adattamento di un libro di Roland Topor, Joko. È una storia molto potente, brutale, intelligente con umorismo nero. Il nuovo progetto è uno studio grottesco della schiavitù e della disumanizzazione. La tecnica della plastilina si adatta perfettamente al mondo del macabro. La grande proprietà di questa tecnica è che non solo può esasperare in modo realistico la complessità caratteriale del protagonista, ma anche mostrare efficacemente la situazione surreale con la sua volgarità. Non ti puoi annoiare lavorando con un testo di Topor. Fra due anni ci sarà la prima proiezione.

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