«Ivory Game», inchiesta tra 007, polizia di frontiera e trafficanti di avorio
Il docu-film Sedici mesi tra Africa e Cina con telecamere nascoste per documentare i traffici. Il risultato è una «spy story»
Il docu-film Sedici mesi tra Africa e Cina con telecamere nascoste per documentare i traffici. Il risultato è una «spy story»
Shetani, ovvero il diavolo senza pietà. Così veniva chiamato il più crudele trafficante di avorio dell’Africa orientale. Un soprannome tutto meritato se si pensa che è stato responsabile della morte di circa 10 mila elefanti in pochi anni. Boniface Matthew Mariango, questo il suo vero nome, è stato capace di organizzare e gestire una rete di 15 organizzazioni criminali e centinaia di killer tra Kenya Tanzania, Burundi, Zambia, Mozambico. Per fortuna il docufilm Ivory game (Caccia all’avorio in italiano), presente sulla piattaforma Netflix dal 2016, ci fa capire sin dall’inizio che la storia, almeno questa, sarebbe finita bene.
Shetani, infatti, dopo essere sfuggito per ben sette volte alla polizia, è stato arrestato nel 2015 dal National and Transnational Serious Crimes Investigation Unit (Ntsciu). Gli spettatori assistono alla cattura, con il fiato sospeso, come si trattasse di un thriller, ma non c’è niente di costruito, non c’è fiction, la storia è tutta vera.
Così come sono vere le tristissime scene degli elefanti uccisi (tra cui Satao, l’elefante più grande al mondo) delle proboscidi tagliate, dei cuccioli che rimangono orfani (e a volte neanche loro sono risparmiati), delle trattative con i trafficanti o con i commercianti asiatici che nascondono nei loro magazzini quintali di avorio illegale.
Per realizzare questo docufilm, lungo quasi due ore e che vede Leonardo Di Caprio come produttore esecutivo, i registi Kief Davidson e Richard Ladkani hanno trascorso 16 mesi tra Cina e Africa intrufolandosi nel traffico di avorio, in intrighi internazionali e inseguimenti al cardiopalma, con l’aiuto di servizi segreti, informatori, attivisti sotto copertura, ranger e polizia di frontiera.
Molte scene sono state girate con telecamere nascoste e i protagonisti hanno rischiato in prima persona per far conoscere al mondo una realtà che se non verrà fermata al più presto, rischia di portare un’intera specie all’estinzione.
Certo, fermare davvero questo fenomeno è anche un’operazione culturale. Purtroppo, infatti, per molti cinesi e asiatici l’avorio è ancora uno status symbol e ci sono ancora troppe persone disposte a spendere circa 200 mila dollari per una zanna lavorata. Molto devono fare i governi, attuando normative severe contro chi commercializza l’avorio illegalmente. Per i criminali, infatti, considerati i grandi guadagni e in assenza di sanzioni internazionali significative, quello della fauna selvatica è ad oggi un traffico più vantaggioso della droga.
Per fortuna alcuni tra i paesi più coinvolti, come Hong Kong e la Cina, stanno adottando misure concrete. I governi dei paesi africani sono da anni in prima linea per difendere gli elefanti ma anche i loro territori e le loro popolazioni da un circolo vizioso di criminalità e morte. Un segnale forte in questa direzione è arrivato dallo spettacolare rogo di 105 tonnellate di zanne sequestrate, organizzato nel 2016 dalle autorità del Kenya. Una goccia nel mare, certo, ma comunque un passo importante.
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