Ius soli, «è solo un rinvio». Ma non ci crede nessuno
Italieni Il dem Marcucci: non dobbiamo darla vinta ai piromani della paura. I piromani esultano
Italieni Il dem Marcucci: non dobbiamo darla vinta ai piromani della paura. I piromani esultano
Il modo più rapido per capire come è andata la vicenda della resa sullo ius soli è spiare le reazioni di quelli che non volevano la legge: festeggiano come d’uopo dopo una battaglia campale vinta.
L’armata renziana in rotta si consola mentendo a se stessa: «È solo un rinvio». Il signore del Nazareno, in privato, confessa di non sentirsi troppo coinvolto. Nell’enews di giornata neanche nomina la legge. La retromarcia mica la ha ordinata lui. È stato il fraterno amico Paolo Gentiloni a non sentirsela. Anzi, c’è il caso che il fattaccio serva a dimostrare che, mentre lui le cose le fa davvero, «gli altri» tutt’alpiù tirano a galleggiare. Sfidando il ridicolo il renzianissimo di palazzo Madama, Andrea Marcucci, esorta a non darla vinta ai «piromani della paura». Come se ad avergliela «data vinta» non fossero stati il suo partito e il governo che ne è espressione, spaventati più che dal rischio di non incassare la fiducia in aula dalle reazioni dell’elettorato che, secondo i sondaggi, è in larga maggioranza ostile a questa legge. Né potrebbe essere diversamente dopo che il governo stesso, con la minaccia di chiudere i porti, ha permesso che si diffondesse un panico da invasione e barbari alle porte.
«A settembre, a settembre»: lo ripetono tutti. I commentatori che si complimentano con la decisione di Gentiloni ma insistono perché non dimentichi l’impegno autunnale. Il Pd che finge di pensare davvero che tra un mese o poco più le cose saranno diverse. L’ala critica della maggioranza, cioè un Mdp di giorno in giorno, più scalpitante. La segretaria della Cgil Susanna Camusso che giudica la retromarcia «un atto di debolezza» e martella: «A settembre si voti e si approvi lo ius soli».
Nessuno però si attarda a spiegare perché in settembre dovrebbe essere possibile quello che non lo è oggi. La realtà è opposta: a settembre tutto sarà ancora più difficile. Prima della pausa estiva i centristi di Ap non avrebbero osato provocare una crisi che avrebbe imposto le elezioni in ottobre, dando così corpo a uno dei loro peggiori incubi. Probabilmente avrebbero fatto propria la decisione dell’Mdp sui Voucher: avrebbero abbandonato l’aula per non votare la legge senza causare sfracelli. A settembre la paura del voto sarà dissipata e in ballo ci sarà una legge di bilancio tra le più sofferte e la cui approvazione è tutt’altro che assicurata. Facile prevedere che ciò sconsiglierà al governo e al Pd di irritare chicchessia.
La sola soluzione sembra quella indicata dai centristi stessi, che dopo aver silurato la proposta di legge si dicono ora pronti a votarla in settembre, come ripetono un po’ tutti da Casini a Naccarato. Certo «dopo averla migliorata». Però dopo essere stata snaturata dai «miglioramenti» la legge dovrebbe tornare alla Camera. Con la fine della legislatura a un soffio e la legge di bilancio in aula credere che si faccia in tempo significa confidare nei miracoli. Brutale e sprezzante, il capo dei deputati azzurri Renato Brunetta dice la verità: «La legge è stata rinviata all’anno di San Mai». L’Arci concorda: «Sarebbe più onesto dire che se ne parlerà nella prossima legislatura».
Ovvio quindi che la destra tripudi. Certo i toni sono diversi. Alfano fa il modesto sorride come chi ha appena intascato la posta intera: «Non è stata una vittoria nostra ma della ragionevolezza e del buon senso. Abbiamo apprezzato il comportamento di Gentiloni». Poi, già che c’è, passa a escludere l’ipotesi dei visti umanitari: «Non sono nel programma del governo». Matteo Salvini e FdI gareggiano a chi ruggisce più forte. «Se ci riprovano blocchiamo le Camere», minaccia il leghista. «Basta con il buonismo e il lassismo della sinistra», rincara Fratel La Russa col ghigno dei bei tempi.
Anche Forza Italia ha scelto di spostarsi sulla linea dura. Non è solo Gasparri, che a sentirlo non si vede alcuna differenza con l’ex compagno di partito e corrente La Russa, «Abbiamo fermato una legge sbagliata. Ora bisogna chiudere i porti». Anche il capo dei senatori Paolo Romani, persona solitamente pacata, collega la legge sulla cittadinanza all’accoltellamento di un agente della Polfer, a Milano, da parte di un immigrato: «Un fatto inquietante che non può che colpire una popolazione già sottoposta alla fortissima pressione di un’immigrazione fuori di controllo».
In questa sceneggiata di vincitori che si esaltano come se avessero respinto gli unni e di sconfitti che fingono di aver rinviato quel che hanno invece sepolto è stato dimenticato un particolare, che ricorda però la capogruppo di Sinistra italiana al Senato Loredana De Petris: «Non sta al governo decidere su un calendario deciso dalla conferenza dei capigruppo e approvato dall’aula». Significa che il Senato dovrà discutere e votare sul rinvio. E per il partito di Renzi non sarà possibile continuare a nascondersi dietro l’alibi del premier carente di coraggio.
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