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Italo Lupi, la città, il territorio, l’editoria: vita di un progettista elegante

Italo Lupi, la città, il territorio, l’editoria: vita di un progettista eleganteItalo Lupi nel 1987, Milano, Archivio Cesare Colombo, courtesy Sabina e Silvia Colombo

Graphic design Dalle copertine forate di «Domus» alle contaminazioni di «Abitare»; da Torino olimpica a Milano Expo 2015: ritratto professionale (e un po’ privato) di Italo Lupi, architetto sperimentatore

Pubblicato circa un anno faEdizione del 16 luglio 2023

Riuscire a inquadrare il campo di azione professionale di Italo Lupi non è mai stata cosa facile: convivevano in lui l’architetto, il grafico, il progettista di allestimenti e, non da ultimo, la figura del direttore di testata. Riluttante alle limitazioni dettate dai singoli ambiti tipologici e alle convenzioni stilistiche, Italo si è sempre mosso con grande libertà nei vari campi del progettare, sconfinando e incrociando linguaggi differenti, presi anche da ambiti del sapere o del vivere lontani tra loro. La ricerca della ‘variazione’ e una passione per gli effetti della contaminazione erano la sua cifra stilistica, che lo conduceva a esiti sempre diversi.

E se nell’arco degli anni si era trovato a fare di quel suo sguardo critico una parte importante del mestiere di architetto e grafico, ancora di più questo è stato il perno della sua avventura in campo editoriale. Dalle prime sperimentazioni da giovanissimo con Mario Bellini e Roberto Orefice nella trasversale rivista «Shop», concepita anche come luogo di ricerca grafica, alla rivista «Projex», con focus sull’allestimento italiano, che percorreva contemporaneità e storia con uguale appassionato senso critico; dall’art direction di «Domus» (1986-1992), in cui per primo intervenne con una dinamica invenzione in copertina, definendo un nuovo rapporto di curiosa scoperta con le immagini sottostanti attraverso la creazione di una calcolata serie di forature, fino alla direzione e art direction di «Abitare» (1992-2007), già allora magazine di riferimento in Italia per il mondo del design e dell’architettura, che egli condusse alla lettura trasversale e internazionale del progetto con un peculiare taglio editoriale, sempre attento a sperimentazioni e ricerche anche nei campi paralleli e tangenti della grafica, del cinema, della moda, dell’arte.

Copertina di «Alias» del 26 aprile 2003 disegnata da Lupi per la conversazione della serie «chaise-longue» con Roberto Andreotti e Federico De Melis

Dalla finestra di sguardo privilegiata che fu per lui «Abitare», Italo ha così potuto nutrire e coltivare la sua vorace curiosità, dimostrandosi spesso precursore nella lettura di quello che poi sarebbe diventato il nostro contemporaneo. Suo, per esempio, il merito di aver dato spazio nelle pagine di «Abitare» non solo a professionisti e movimenti consolidati, ma anche e soprattutto di aver individuato il fermento di nuovi talenti e l’originalità di nuovi messaggi.

Questo criterio di ricerca ad ampio spettro Lupi lo sapeva applicare anche nella quotidianità della sua vita, facendosi acuto osservatore del suo intorno perché tutto lo interessava, dentro e fuori l’ambito disciplinare. Mitica la sua agenda Quovadis Ministro dove annotava, con quella sua bella scrittura spigoluta e di carattere, nomi, numeri e brevi note di pensiero. Un contenitore analogico, certo, ma che lui gestiva con tale padronanza da riuscire incredibilmente ad attingere alle informazioni giuste al momento giusto, battendo spesso in efficienza l’uso dei nostri cellulari.

Italo Lupi possedeva d’altronde un’eleganza d’altri tempi: la si poteva riconoscere non solo nel suo particolare modo di vestire – che prevedeva quasi sempre la combinazione di calzini a righe, cravatte strettissime e l’immancabile borsa gialla degli attrezzi come cartella di lavoro (poi sostituita negli ultimi anni da una sacca a tracolla da pesca) –, ma più che altro la si riconosceva nel senso della misura che ogni sua azione trasmetteva. Ricorderemo per sempre quando, a pochi minuti da un incontro con il sindaco di Pavia, i suoi pantaloni in velluto bianco a coste -– altro must del suo guardaroba, da settembre a maggio inoltrato – si macchiarono di vino. Effettuato un tentativo di smacchiarli che, come era prevedibile, non poté che peggiorare la situazione, si presentò imperturbabile all’appuntamento con una pacata serenità piena di grazia e compostezza.

Nei quindici anni alla direzione di «Abitare», ebbe il merito di fare luce sul tema della città, intesa non solo dal punto di vista architettonico ma proprio come organismo vivente inserito in una stretta relazione col territorio. Per questo scelse di dare vita al filone di numeri speciali dedicati a paesi lontani dall’Italia come il Brasile e la Russia. Progetto ambizioso e all’avanguardia, se pensiamo che questo avvenne a cavallo tra gli anni novanta e duemila, cioè in un’epoca in cui la globalizzazione e l’intensificarsi delle comunicazioni che essa comporta erano solamente agli albori.

E proprio per le strade di una grande città come Tokyo la nostra amicizia si è consolidata. Ci eravamo già conosciuti e più volte frequentati soprattutto nello studio di Achille Castiglioni in piazza Castello a Milano, che per strana sorte è stato sia suo sia nostro maestro in epoche diverse; ma la prima occasione di progetto insieme è stata proprio in Giappone. Lì, nel 2001, abbiamo lavorato a una grande mostra al Museo d’Arte Contemporanea di Tokyo (MOT) dedicata a Krizia, la stilista che rivoluzionò il prêt-à-porter italiano, condividendo non solo il progetto espositivo ma anche la scoperta e l’esplorazione della città. In Giappone, in mezzo al rigore e all’elevatissima qualità dei dettagli da un lato, e alla sovrapposizione quasi psichedelica da Lunapark di messaggi e comunicazione dall’altro, ci siamo infatti ritrovati con affinità di approccio sostanziali, ed è nato un legame autentico che ci ha poi portato a condividere moltissime avventure e progetti negli oltre vent’anni successivi.

È stato proprio quello della città e del territorio uno dei campi che abbiamo sperimentato di più con Italo. Insieme a lui abbiamo realizzato, per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006, Look of the City: un grande progetto di immagine coordinata in cui decine di menhir, shangai, anemometri e installazioni rosso cinabro – il colore della fiamma olimpica – ridisegnavano il profilo della città sabauda dalla periferia al centro storico. Un progetto complesso che, al di là dei numerosi riconoscimenti internazionali ricevuti, ha portato a un riscontro positivo molto più importante, e cioè quello da parte dei cittadini torinesi, che hanno richiesto di tenerlo allestito in molte sue parti per circa due anni ancora all’indomani del grande evento.

Nella stessa città, alcuni anni dopo, ci siamo occupati delle installazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia (2011). Tra queste, Torino+Light+Italian Colours, l’installazione luminosa che a 85 metri da terra sulla Mole Antonelliana riproponeva i colori della bandiera italiana con un collier di anelli luminosi e fluttuanti visibili da tutta la città e dalle colline intorno. Ancora nella città, a Milano per l’EXPO 2015, con l’intervento che dal Castello Sforzesco a piazza San Babila, passando per il Duomo, come una punteggiatura disegnava una sorta di salotto urbano: luogo di incontro e di racconto sulle nazioni partecipanti all’evento internazionale.

Se nelle tante riunioni in studio fatte insieme la ricerca della variante portava Italo Lupi a gestire il tempo in un modo unico, quasi dilatandolo, per dare spazio a sempre nuove possibilità, al tempo stesso, da grande maestro quale era, egli aveva sempre la capacità di non imporre mai direzioni assolute, ma piuttosto di indicare dove porre lo sguardo, aprendo così a prospettive inedite e inaspettate. Un maestro che ci mancherà davvero tanto.

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