Italo Calvino e gli orti delle città invisibili
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Italo Calvino e gli orti delle città invisibili

Per uno scrittore i nomi sono importanti, i nomi delle cose, delle persone. Per Italo Calvino, sin dall’infanzia, lo furono i nomi delle piante. Non poteva che essere così essendo […]
Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 giugno 2023

Per uno scrittore i nomi sono importanti, i nomi delle cose, delle persone. Per Italo Calvino, sin dall’infanzia, lo furono i nomi delle piante. Non poteva che essere così essendo nato, praticamente, tra i fiori. Suo padre, Mario Calvino, sua madre, Eva Mameli furono esponenti insigni di un pensiero scientifico botanico d’avanguardia.

Lo scrittore nacque a Cuba per lo spostamento del genitore a Santiago dove diresse la Stazione Sperimentale di Agricoltura. Sua madre fu la prima donna ad essere titolare di cattedra di botanica, fu una strenua protettrice degli uccelli, innamorata dei fiori, per questo chiamò l’altro figlio, Floriano. Sappiamo che Italo fu nutrito a pane e botanica, e non dovette amarla molto. Genitori così, una famiglia così, difficilmente si ritrova.

Quando la scienza si nutre di politica, di umanesimo, di impegno etico e personale, non possono che nascere fiori. Oggi, ci ritroviamo a celebrare, giustamente, il centenario della nascita di uno tra gi scrittori ed intellettuali più lucidi del Novecento, e la sua famiglia fu un vivaio di intelligenze. Mario, fieramente anticlericale, repubblicano convinto, partecipò alla rivoluzione messicana e conobbe Pancho Villa. Sua madre, pioniera della protezione degli uccelli, suo fratello, Floriano, era geologo, studiava le cose della terra e per tutta la vita fu uno strenuo combattente contro le grandi società che, in nome del profitto, deturparono gravemente la natura e causarono devastazioni e stragi immani.

Floriano Calvino fu attaccato pesantemente perché aveva, da scienziato, messo in dubbio la versione della Sade, la ditta che aveva costruito la diga del Vajont, quella diga che causò migliaia di morti. Pagò duramente per questa sua lucida posizione, ottenendo la cattedra universitaria più tardi e non a Padova, dove insegnava, ma a Genova. Si legge che Italo Calvino dovette avere odiato le noiose nomenclature botaniche, in questa famiglia dove si rivoluzionavano le colture e si importavano, primi in Italia, essenze come il pompelmo e l’avocado. Furono proprio i suoi genitori a farlo. Eppure, sentiamo di potere chiaramente dire che il nostro Calvino, i giardini, i fiori, gli orti, dovette amarli. Perché, viceversa, non avrebbe affidato la cura dei suoi giardini, a Sanremo, ad un personaggio, Libereso Gugliemi, che, anche qui, nomen est omen, ha occupato un posto importante nella nuova visione del giardino in Italia.

Libereso Guglielmi ha scritto libri, uno dei quali ci sentiamo vivamente di consigliare, Diario di un giardiniere anarchico per Pentagora edizioni (ora Tempo Sospeso edizioni). E’ stato per lui un amico fraterno e, diversamente non poteva essere – anch’egli militando tutta una vita per quegli stessi ideali di fratellanza – di libera umanità che tutta la famiglia Calvino condivise.

Onorificenze e premi non sono mancati, Italo Calvino ci manca e ci parla e ci parlerà sempre. Sentiamo tutti di dovergli molto. Ci piacerebbe proprio che una amministrazione comunale si inventasse orti condivisi – Orti delle città invisibili – dove nello spirito suo, di Italo Calvino e di Eugenio Montale, in Liguria, si potessero ricordare figure così indimenticabili.

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