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Italia-Slovenia, per una memoria di tutte le memorie

31 luglio 1942, soldati italiani fucilano cinque abitanti del villaggio di Dane in Slovenia, foto Museo storico di LubianaCinque partigiani sloveni fucilati dai soldati fascisti a Dane il 31 luglio 1942 – Museo storico di Lubiana

Giorno del ricordo Prevalga il rispetto e non l’oltraggio, l’analisi storica e non la propaganda, la verità e non l’impostura, la fraternità e non l’odio

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 febbraio 2022

Nel 1993 i ministri degli Esteri della Slovenia, della Croazia e dell’Italia istituirono due Commissioni miste storico-culturali al fine di pervenire a una risoluzione comune per una memoria condivisa sulle drammatiche vicende del confine, le foibe e l’esodo e, prima ancora, l’invasione italiana della Jugoslavia del 1941, la sua lunga scia di sangue e la violentissima politica di snazionalizzazione delle minoranze avviata all’inizio degli anni 20 dal “fascismo di confine”. La Commissione italo-croata non si riunì mai. La Commissione italo-slovena, invece, lavorò per sette anni e nel luglio 2000 consegnò la Relazione su “I rapporti italo-sloveni, 1880-1956” ai rispettivi governi. Mentre in Slovenia la Relazione ebbe larga eco, in Italia non fu pubblicizzata in modo significativo. La ricerca storica degli anni successivi avrebbe confermato l’impianto della Relazione, articolando e approfondendo l’analisi.

Nel 1993 è Azeglio Ciampi il Presidente del Consiglio e Emilio Colombo il ministro degli Esteri. L’anno dopo nasce il primo governo Berlusconi. Il 10 maggio 1996 il Presidente della Camera Luciano Violante propone una riflessione “sui vinti di ieri”. Si alternano al governo Prodi, D’Alema, Amato e Berlusconi fino a quando nel 2004 – al potere l’uomo di Arcore – il Parlamento approva la legge sul Giorno del Ricordo.

Si avvia così da parte delle forze di destra una riscrittura della storia di quegli anni in lampante contrasto con i contenuti della Relazione italo-slovena; tale riscrittura elude qualsiasi contestualizzazione, ma eccelle nella propaganda, in quello che Giovanni De Luna ha definito “paradigma vittimario” che tracima spesso nell’assoluzione del fascismo, nell’apologia del nazionalismo, in una implicita damnatio memoriae della Resistenza, in una rendita memoriale a vantaggio di una parte politica. Contestazioni, contrasti o dubbi sono bollati come negazionismo o riduzionismo mentre, a proposito di foibe, si insiste su concetti quali il genocidio o la pulizia etnica. In sostanza, dalla approvazione della legge sul Giorno del Ricordo in poi avviene l’eterogenesi dei fini della risoluzione della Commissione italo-slovena: invece di costruire una memoria condivisa superando conflitti e barriere si crea una nuova, pesante lacerazione tornando a seminare il germe dell’odio nazionalistico e di un latente razzismo verso gli slavi.

Nei giorni scorsi l’ANPI e la ZZB-NOB, l’associazione dei partigiani sloveni, hanno dato vita a Gorizia a un convegno teso a disinnescare questi veleni e a rilanciare la lettura transnazionale delle vicende del confine che ispirò la Relazione della Commissione italo-slovena; essa è di grande attualità ove si attui davvero il disposto del primo articolo sul Giorno del Ricordo che, oltre a riferirsi alla tragedia delle foibe e dell’esodo, fa testuale riferimento alla “complessa vicenda del confine orientale”.

Collegare i contenuti della Relazione italo-slovena a quelli del primo articolo della legge del Ricordo è l’unico modo per uscire da una impasse che da quasi vent’anni ha spalancato praterie a fascisti, neofascisti e afascisti. Questo è tanto più urgente, quanto più si espande una cultura e una politica della destra sovranista che rimuove l’analisi storica e che, attraverso la presenza di suoi uomini nelle istituzioni, pretende di imporre una sorta di verità di Stato imponendo limiti e sanzioni a chiunque osi metterla in discussione, a cominciare dai ricercatori.

A proposito del convegno di Gorizia, “serve una legge contro i negazionismi”, ha tuonato un deputato di destra, denunciando “ridicoli tentativi di distorcere la storia o fornire una lettura di parte”. Inutile chiedergli le prove della sua affermazione/diffamazione. Emerge una rabbiosa vocazione intollerante, autoritaria e totalitaria in collisione con lo stato di diritto, ma anche la misura della debolezza di un fronte di forze di destra sempre più isolato e diviso (è di questi giorni il suo cupio dissolvi), che risponde con offese, accuse e minacce a chiunque metta in discussione i suoi dogmi.

Da Gorizia in sostanza nasce un appello; il Giorno del Ricordo sia davvero una memoria osservante di tutte le memorie: delle foibe, dell’esodo, dell’occupazione italiana e delle conseguenti stragi, dei delitti del fascismo di confine. Prevalga il rispetto e non l’oltraggio, l’analisi storica e non la propaganda, la verità e non l’impostura, la fraternità e non l’odio.

La Relazione sui rapporti italo-sloveni, come ha detto a Gorizia il professor Salimbeni, è un modello di ciò che unisce e non di ciò che divide. Ripartiamo da lì. Ciò vuol dire superare l’incapacità storica del nostro Paese di confrontarsi con il suo passato. Così davvero possiamo dare corpo alle parole del Presidente Mattarella che pochi giorni fa ha auspicato un’Italia “intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano”. Può esserci amicizia fondata sulla rimozione, il falso, l’odio irredentista?

* Presidente nazionale ANPI

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