Ruvidi e bellicosi, cattivi a volte, generosi sempre. Da temere o comunque da affrontare con sommo rispetto. Più quotati degli azzurri, almeno questo dice, risultati alla mano, la classifica stagionale di World Rugby che pone la nazionale della Georgia al 13° posto, un gradino sopra all’Italia. Per questa ragione, e per molte altre, la sfida di domani a Firenze (diretta 15, DMax) è un appuntamento decisivo per il rugby italiano il cui esito può segnare un prima e un dopo.

La Georgia fa parte della cosiddetta «seconda fascia», del mondo ovale: il Tier 2. E’ un «mondo di mezzo», che preme contro quello «di sopra» rappresentato dalle 10 nazioni maggiori: le quattro grandi dell’Emisfero Sud e le sei europee che disputano il Six Nations. Il Tier 2 sgomita, alla faticosa ricerca di uno spazio che non sia periferico; e invoca visibilità e risorse economiche. La più ricca delle sue rappresentanti, il Giappone, ospiterà in autunno la nona edizione della Coppa del Mondo, la prima a disputarsi in un paese che non appartiene al gotha ovale. Tutte le altre arrancano, tra problemi economici, giocatori che emigrano, campionati quasi sconosciuti dove vige il semi-professionismo. Ogni metro conquistato per raggiungere il cono di luce è frutto di risultati ottenuti sul campo, come vorrebbe un’etica dello sport che da componente primaria è però divenuta, anche nel rugby, semplice additivo. Può così accadere che la Romania o la Georgia o qualche isola del Pacifico scalino posizioni nel ranking di World Rugby ma resteranno in ogni caso confinate nel loro mondo di mezzo, soffocate dalla mancanza di soldi, dal loro scarso appeal mediatico, dalla infelice collocazione geografica.

LA NAZIONALE georgiana ha partecipato, facendosi onore, alle ultime quattro edizioni della coppa del mondo; e ha vinto dieci delle ultime edizioni del campionato europeo, quello stesso torneo nel quale per anni l’Italia ha combattuto (vincendo una sola edizione) prima di guadagnarsi un posto nel Sei Nazioni. Andare a Tbilisi e vincere sarebbe un’impresa anche per le nazionali più titolate, ma questa è per ora una pura ipotesi teorica, dal momento che nessuna squadra del Tier 1 è disposta a prendersi tale impegno. Quanto ai club georgiani, soltanto uno, il Lokomotiv Tbilisi, partecipa a una competizione europea, il Continental Shield che dà accesso alla Challenge Cup.

Un’azione di Georgia Giappone

DUNQUE la Georgia, che gli azzurri di Conor O’Shea devono battere con una prestazione incontestabile. Un successo sofferto e di stretta misura non sarebbe sufficiente: se l’Italia, che negli ultimi tre anni ha sempre chiuso il Sei Nazioni all’ultimo posto, perdendo tutte i match, uscisse sconfitta dalla sfida con la nazione che da più di un decennio domina praticamente incontrastata il campionato europeo, si aprirebbe una fase di grande incertezza per il nostro rugby. Un fiume di critiche si rovescerebbe sulla gestione dell’ultimo decennio da parte della federazione; mentre dall’estero, e in particolare da Oltremanica, il coro di quanti sostengono che la nazionale italiana non merita il posto nel massimo torneo continentale diverrebbe assordante. Queste sono le ragioni per le quali il match di domani allo Stadio Franchi è divenuto tanto importante. Per ora nessuno ha messo seriamente in discussione la presenza italiana nel Sei Nazioni, la cui formula non prevede retrocessioni né promozioni: è un club esclusivo nel quale si entra su invito e dal quale nessuno viene espulso se non per manifesta ignominia (accadde solo alla Francia, negli anni Trenta). A certificare l’idoneità dei soci sono il blasone, i risultati sul campo e la garanzia che il ticket di ingresso sarà ripagato con gli interessi: impianti di gioco decenti, pubblico, una certa attrattiva per chi è disposto a prendere un aereo e trascorrere un weekend in una città estera. E per ora nessuno tra i membri del consiglio direttivo del Sei Nazioni è pronto a scommettere su voli carichi di tifosi anglosassoni o francesi o men che meno italiani pronti a partire nei mesi freddi alla volta di Tbilisi. Business is business.

IN VERITA’ nemmeno i georgiani chiedono, almeno per ora, un ingresso in tempi brevi nel torneo, né l’introduzione di meccanismi di promozione o retrocessione. Intervistato qualche settimana fa da AllRugby, Milton Haig, il coach della Georgia, ha però chiarito la questione: “Qui nessuno vuole qualcosa a danno di qualcuno (l’Italia, ndr). Chiediamo solo di essere ammessi al regolare confronto con squadre di Tier 1 dopo aver dimostrato in questi anni che la retroguardia del rugby europeo ci sta stretta”. Fateci giocare con voi con maggior frequenza, insomma, poi ognuno trarrà le proprie conclusioni. Del rugby georgiano in Italia non sappiamo granché. C’è un solo precedente ufficiale, ad Asti nel settembre del 2003, un mese prima che cominciasse la coppa del mondo in Australia. Finì 31-22 con quattro mete degli azzurri a una. Fu un match tempestoso, con i georgiani che beccarono un cartellino rosso e tre gialli. Da allora i «lelos» (così chiamati in patria da lelo burti, una sorta di proto-rugby che laggiù si giocava in tempi antichi) sono migliorati assai, ma non hanno mai perso la caratteristica di base del loro gioco: compattezza, combattività, durezza. La finezza, l’inventiva e la fantasia non sono di casa, ed è infatti difficile ricordare un trequarti georgiano, ma la sostanza dei loro avanti ha spesso fatto la differenza. Il migliore di loro, Mamuka Gorgodze, seconda o terza linea a seconda delle esigenze, non sarà della partita per uno strappo al bicipite rimediato mesi fa, tutti gli altri saranno però un osso duro per il pack azzurro. Gli ultimi dieci test match disputati evidenziano un tabellino di 3 sole sconfitte (Galles, Figi e Giappone, sempre in trasferta) e sette vittorie, compreso lo slam nel campionato europeo e uno storico successo a Suva contro Tonga.

SE QUESTA SFIDA ha acquisito una tale importanza per il futuro del rugby italiano, è chiaro che tutto il peso psicologico grava sulle spalle degli azzurri. Il test di Firenze avrebbe dovuto aprire il trittico novembrino (sabato prossimo c’è l’Australia a Padova, il 24 si chiuderà all’Olimpico contro gli All Blacks) ma una settimana fa l’Italia ha dovuto sobbarcarsi una trasferta negli Usa per un test contro l’Irlanda per il quale la federazione ha incassato un milione e mezzo di euro. Mai impegno si è rivelato più inutile e controproducente di quello del Soldier Field di Chicago, caduto a una sola settimana dal match più importante della stagione. Conor O’Shea ha schierato una formazione imbottita di seconde scelte, altrettanto ha fatto Joe Schmidt (domani gli irlandesi affrontano i pumas argentini), l’inevitabile conclusione è stata la vittoria dei verdi per 54-7.

Priva di Matteo Minozzi, il suo giocatore più promettente che nella prima giornata del Pro 12 si è rotto il legamento crociato del ginocchio destro (rientrerà dopo l’estate), l’Italia si ritrova con un’importante arma offensiva in meno. Ma se il pacchetto di mischia azzurro è chiamato a una partita fisicamente molto impegnativa, è sul piano tecnico che deve riuscire a fare la differenza: pensare di battere i georgiani sul piano fisico è un rischio da evitare a ogni costo. Altre assenze importante quelle di Marcello Violi in mediana, anche lui infortunato e sostituito da Tebaldi, e Sergio Parisse, bloccato da un problema al polpaccio.

Queste le formazioni:

Italia: Sperandio; Benvenuti, Campagnaro, Castello, Bellini; Allan, Tebaldi; Steyn, Polledri, Negri; Budd, Zanni; Ferrari, Ghiraldini, Lovotti.

Georgia: Matiashvili; Koshadze, Sharikadze, Mchedlidze, Dzeladze; Khmaladze, Lobzhanidze; Gorgadze, Tsutskiridze, Giorgadze; Lomidze, Cheishvili; Kubriashvili, Bregvadze, Nariashvili.

Gli altri test match della giornata: Scozia-Figi, Inghilterra-Nuova Zelanda, Galles-Australia, Irlanda-Argentina, Francia-Sudafrica.