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Italia-Europa, scontro totale

Italia-Europa, scontro totaleJean Claude Juncker con Matteo Renzi

Isolati Prima un portavoce, poi direttamente Juncker: la Commissione dà del bugiardo al premier italiano sulla vicenda dei contributi alla Turchia. E lui lancia la guerra ai «burocrati dello zero virgola». l capo del governo: ok, pagheremo le nostre quote. Ma il ministero dell’economia frena: vadano a carico dell’Ue

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 febbraio 2016

«Caro Matteo», e giù botte. L’Europa non porge l’altra guancia e il presidente della Commissione Jean Claude Juncker non resiste alla tentazione di far notare al premier italiano che quanto lui va dicendo di voler strappare all’arcigna Ue era in realtà stato deciso quasi due mesi fa. La vicenda è quella dei contributi dei vari paesi europei alla Turchia per l’emergenza rifugiati «Fin dall’inizio», scrive Juncker a Renzi, «la Commissione ha indicato che i contributi avrebbero potuto essere dedotti dal patto di stabilità». Non solo: questa decisione è stata ufficializzata il 18 dicembre «come concordato con il tuo sherpa». Ecco a cosa si riferiva Juncker quando criticava la doppiezza degli interlocutori italiani. La conclusione della lettera è al veleno: «Sono felice di confermare che la commissione rispetta le tue dichiarazioni», e ben due punti esclamativi aggiunti a penna.

Era prevedibile dopo l’esito ambiguo dell’incontro Renzi-Merkel: lo scontro tra governo italiano e Commissione europea si è riacceso immediatamente. Tutto lascia pensare che diventerà sempre più duro. Proprio la Commissione aveva aperto ieri mattina le ostilità. In un briefing, il portavoce Margritis Schinas, parlando dei 3 miliardi destinati alla Turchia, chiarisce che «i contributi nazionali al fondo non saranno considerati nel computo dei deficit». Non è la richiesta italiana, ma ne rappresenta una versione light ritenuta sino a ieri certamente accettabile.
Forse lo sarebbe stata, infatti, se la pietanza non fosse stata accompagnata da una quantità di bocconi venefici. Schinas specifica infatti che la decisione era già stata presa in dicembre, offrendo così appositamente il destro all’opposizione italiana per accusare il premier di battere i pugni per ottenere quel che era già stato concesso a tutti, facendo così una figura bella ma ingiustificata. Aggiunge che però la valutazione sull’accordare o no ai singoli Paesi la flessibilità per le spese dovute all’emergenza immigrazione «verrà fatta in primavera, caso per caso ed ex post, sulla base di spese fatte». Come dire che la vicenda dei miliardi alla Turchia non costituisce un precedente al quale appigliarsi per reclamare la flessibilità su tutte le spese per l’immigrazione: proprio quel che per Renzi è più importante.
Come se non bastasse, la Commissione lancia una serie di segnali che più negativi non si può in materia di banche. «Non ci sono piani per modificare il bail-in», comunica laconica e definitiva, sbattendo così la porta in faccia al governatore di Bankitalia Visco, che proprio quella modifica aveva chiesto «entro il 2018», e con lui schiaffeggiando anche l’ormai detestato governo italiano. E stavolta ci si mette anche Mario Draghi che auspica «un’attuazione coerente della normativa sul bail-in».

La replica di Renzi non si è fatta attendere, e come sempre in questi casi è ancora più dura e sprezzante dell’attacco. «Il nostro mestiere è guidare l’Europa, non prendere ordini», scrive nella sua e-news. È solo l’antipasto. Dalla Nigeria l’enfant terrible va giù a valanga: «Noi pensiamo che i migranti siano tutti uguali. Solo una perversione burocratica può fare distinzioni tra vite da salvare». Significa, spiega senza perfirasi l’inquilino di palazzo Chigi, che se è un fatto positivo escludere dal Patto di stabilità le spese per salvare i bambini nel mar Egeo (cioè i miliardi per la Turchia) è in compenso «assurdo e illogico considerare in modo diverso le spese per salvare i bambini eritrei che arrivano in Sicilia», cioè il resto delle spese per l’immigrazione.
Poi l’affondo più violento: «Noi abbiamo salvato migliaia di vite, e continueremo a farlo, mentre l’Europa si girava dall’altra parte. Se vogliono aprire una procedura d’infrazione facciano pure. Per noi Europa significa valori, non polemiche da professionisti dello zero virgola». È un modo certamente abile di mettere le cose, al quale Bruxelles risponde con un imbarazzato «no comment», accompagnato però dalla specifica per cui la procedura contro l’Italia riguarda la registrazione dei migranti, non il loro salvataggio in mare.

Nello stesso momento, il governo italiano rilancia ulteriormente. Se le cose stanno così, il ministero dell’economia fa sapere, sia pur in forma anonima, che lo scomputo dei fondi per la Turchia dal Patto di stabilità non basta. Tutti e tre i miliardi devono essere presi dal bilancio dell’Unione, non uno solo addossando agli Stati i rimanenti due, e deve essere accertato come Erdogan intende usare quei soldi.
Come a Berlino, è di nuovo una partita a tre, ma stavolta la convitata di pietra è Angela Merkel. È per lei che l’immediato sblocco di quei fondi è questione vitale, ed è a lei, ancor più che a Jean-Claude Juncker, che Renzi lancia un messaggio preciso, come aveva già fatto da Berlino: nello scontro durissimo che si sta preparando tra governo italiano e Commissione europea, la Germania deve scegliere da che parte stare. E se qualcuno trova strano che a lanciare una simile sfida sia il premier di uno dei Paesi deboli, è segno che non ha capito come è fatto Renzi.

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