Alla vigilia del secondo tempo dell’audizione parlamentare di Altavilla si stringe il cerchio giudiziario contro il decollo di Ita. Sabato è stata depositata al tribunale di Roma una seconda class action che contesta la discontinuità di Ita rispetto ad Alitalia e chiede l’assunzione in continuità di tutti gli oltre 3 mila lavoratori del settore Aviation non riassunti dalla nuova compagnia.

COME GIÀ ANTICIPATO dal manifesto il 7 gennaio nel dare notizia della prima class action per discriminazione delle lavoratrici in «età fertile» e in legge 104, il ricorso sottoscritto da 10 lavoratori fa leva sul «danno generale» della non applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile sulla cessione di ramo d’azienda e il diritto dei lavoratori alla continuità di occupazione e condizioni economiche e di diritti.

Nelle 69 pagine preparate dagli avvocati Andrea Circi e Carlo De Marchis si ripercorre tutta la lunga e travagliata vertenza Alitalia e la nascita di Ita dimostrando la totale continuità considerando «risibile ritenere che Ita possa affermare di essere rispetto ad Alitalia “una nuova attività imprenditoriale” attuata “secondo forme organizzative originali” se solo si considera che il personale di condotta, il personale preposto alle funzioni di gestione dell’attività di volo e le figure di vertice delle direzioni strategiche coincidono potendosi sovrapporre come le divise, le livree degli aeromobili ceduti e non da ultimo il marchio».

ITA E LO STESSO GOVERNO sostengono invece che la «discontinuità» – e dunque la «deroga» al 2112 – è stata imposta dalla Commissione europea.

Ma gli avvocati sottolineano come «il parere reso dalla Commissione è a tutt’oggi ignoto persino ai parlamentari che hanno approvato l’ultima decreto a novembre» con denuncia del fatto da parte di molti deputati – Errani e Margiotta – e dello stesso presidente Fico. In più i ricorrenti hanno chiesto l’accesso agli atti alla commissione europea avendo come risposta formale che «i documenti richiesti non sono stati resi pubblici e sono noti solo a un numero limitato di persone», mentre lo ministero dell’Economia (azionista unico di Ita) ha risposto alla richiesta di documentazione sulla trattativa fra Alitalia e Ita che «il Mef non detiene quelli relativi alla procedura di acquisto da parte di Ita degli asset di Alitalia (…) non avendo preso parte ai procedimenti instaurati dalla Commissione europea». Una risposta «paradossale» per i ricorrenti in quanto il decreto Ita «afferma che il Mef “deve riferire alle commissioni parlamentari competenti sull’attuazione del piano industriale e sul programma di investimenti della società».

In più il ricorso sostiene come «la Commissione, organo esecutivo dell’Unione Europea, non è fonte di diritto dell’Unione né può interpretare gli atti normativi, in particolare la direttiva 23/2001 sui diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa, approvata dal Parlamento Europeo la cui interpretazione è rimessa esclusivamente alla Corte di Giustizia dell’Unione».

IL RICORSO «CHIEDE di ordinare a Ita di cessare la condotta e impiegare alle proprie dipendenze le parti ricorrenti e – se del caso – tutti i lavoratori appartenenti al settore Aviation» e «condannare Ita al pagamento di una somma a titolo risarcitorio».

Come detto domani il presidente di Ita Alfredo Altavilla tornerà in commissione Trasporti alla Camera dopo il battibecco con molti parlamentari compreso Maurizio Lupi sulla quanto meno infelice espressione «non mi interessano i lavoratori Alitalia, non siamo la Croce Rossa». Il ricorso ricorda come il decreto di novembre «ha escluso il management dai vincoli di compensi previsti per le società a controllo pubblico» «con compensi annui di € 240.000», definiti – usando una espressione inglese – «noccioline» da Altavilla.

ALTRI RICORSI sullo stesso tema saranno saranno depositati nelle prossime settimane. Vedremo se il Mef e il governo avranno il coraggio di rimuovere Altavilla – vero ideatore dell’applicazione del modello Fca a una azienda pubblica – dal suo ruolo.