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Istat: patrimonio pubblico in pericolo

Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova Finanza pubblica
Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 febbraio 2023

Le notizie che giungono dall’Istat impegnano quotidianamente giornalisti ed esperti di ogni disciplina. Gli appuntamenti dei dati ufficiali con le prime pagine dei giornali e delle testate televisive – si pensi al PIL e all’occupazione – sono frequenti.
Stranamente, però, notizie importanti che riguardano l’Istat stessa non riscuotono interesse, le grida di allarme dei suoi lavoratori trovano poca eco e neppure lo sciopero più partecipato di sempre (il 6 giugno scorso: 53% di adesioni esplicite, 70% di assenze totali) buca la cortina fumogena della società dello spettacolo.

Eppure le funzioni dell’Istat sono fondamentali per la vita democratica. La statistica è bene comune, riferimento irrinunciabile per le decisioni pubbliche, la cui rilevanza costituzionale è sancita dall’art. 117 della Carta.
La Costituzione Europea, all’art.335, prescrive per essa imparzialità, affidabilità, obiettività, indipendenza scientifica, riservatezza dei dati individuali. Tutti requisiti la cui urgenza cresce con la progressione esponenziale con cui crescono importanza strategica dei dati, loro valore economico, potenzialità e rischi del loro utilizzo, interoperabilità dei sistemi informatici e ricorso ad intelligenza artificiale e algoritmi.

Date queste premesse, dovrebbe destare scandalo il tentativo di affrontare le sfide dell’information society mantenendo alla guida dell’Istat un professore di demografia in pensione, e forte allarme il suo downsizing (dal 2000 si è ridotto di un quinto il personale), che oggi assume le vesti dell’esternalizzazione integrale dell’informatica.

È assolutamente inappropriato e privo di logica il coinvolgimento di questo piccolo Ente di ricerca (vaso di coccio) nella 3-I S.p.A., che fornirà (a prezzi di mercato, beninteso, o Pantalone dovrà coprire i costi) servizi informatici alle AP centrali, tra le quali la stessa Istat che già fa un egregio lavoro in proprio.
La 3-I – così denominata per la compartecipazione dei due colossi INPS e INAIL (i vasi di ferro, con funzioni, funzionamento ed esigenze abissalmente differenti da quelle dell’Istat) – concentrerà peraltro uno spaventoso potere sotto il sostanziale controllo del governo.

Senza curarsi della grave perdita di controllo sui dati come di autonomia organizzativa e funzionale, dell’IT Istat si fa carne di porco, cedendo tutto alla 3-I: server, mouse, sistemi operativi, applicativi dedicati, database (che contengono dati sensibili e i numeri che devono ancora uscire), intelligenze necessarie per far funzionare ed evolvere tutto ciò.

Senza temere il ridicolo, si conferisce alla 3-I, accanto ai gioielli – tra cui software sviluppato internamente, tanto prezioso per l’Istat quanto privo di valore di mercato – la paccottiglia (vale a dire, macchine obsolete, programmi non supportati).
E si fa il gioco delle tre carte: appellandosi al PNRR, che però per l’Istat non prescrive, né stanzia fondi per, questa esternalizzazione; allo stato di sofferenza dell’Istituto, senza guardare nello specchio chi l’ha determinata; alla necessità di «passare al cloud», che 3-I non avrà in proprio, senza stabilire limiti chiari, per farlo salvaguardando la credibilità della statistica e garantendo il controllo nazionale e pubblico sui dati.

Il piano industriale di 3-I ancora non c’è, quindi nulla è perduto. Il sottosegretario Butti – di cui apprezziamo le parole sulla sovranità digitale – può rimediare al grave errore dei governi precedenti. In fin dei conti, il potere di chi siede in 3-I (a partire dal presidente Anastasio, premiato così per i meriti elettorali) non dipende dalla partecipazione dell’Istat.

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