Istantanee in bianco e nero di una stagione operaia
NARRATIVA «Gli anni del nostro incanto», un romanzo di Giuseppe Lupo edito da Marsilio
NARRATIVA «Gli anni del nostro incanto», un romanzo di Giuseppe Lupo edito da Marsilio
Se davvero una foto vale mille parole, quella scattata da Giuseppe Colombo a Milano nel 1968, «Famiglia su una vespa», diventa il refrain narrativo di un romanzo in bianco e nero, scritto con una lingua scarna e fortemente espressiva, molto ritmica, Gli anni del nostro incanto (Marsilio, pp. 160, euro 16), dove Giuseppe Lupo colloca la toccante autobiografia di una generazione e di un’epoca nella città più metropolitana d’Italia.
NELL’ISTANTANEA a guidare la Piaggio 125 GT è il padre operaio all’Innocenti «che zigzagava spadaccino tra le automobili e i cartelli», davanti il figlioletto Bartolomeo dal soprannome bislacco, Indiano, a prendersi il vento in faccia, dietro la giovane madre Regina con in braccio Vittoria, l’io narrante. La foto struggente di «quel giorno», più volte ripetuto come qualcosa che sa di eternità terrena, diventerà il miracolo di un momento ma anche il conio irripetibile degli anni del boom economico tanto avversati da Luciano Bianciardi, e da un altro scrittore ribelle, Lucio Mastronardi, nel microcosmo angusto e provinciale della vicina Vigevano.
LA FOTO DIVENTA subito il grimaldello narrativo del libro, che dopo l’incipit e la descrizione emotiva di quello scatto, di colpo precipita nell’Italia estiva e febbricitante del 1982, ai tempi dei mondiali di Spagna, mentre la madre di chi narra è in un letto d’ospedale e ha perso la memoria, la figlia cerca attraverso il racconto di riaccendere in lei un piccolo fuoco di ricordo. Con questi frammenti di storie, mescolati nella disarmonia prestabilita del flashback, da restituire a chi improvvisamente li ha persi nella finzione, e contemporaneamente al lettore, Giuseppe Lupo costruisce questo breve ma intenso romanzo, si cala dentro la piccola epica di una famiglia operaia tipica di quell’Italia lontana, e attraverso questo escamotage riesce a raccontarne riti e miti, ricomporre la parlata, con abilità ricostruire narrativamente una sorta di modernariato sociale.
Lui che è uno dei massimi studiosi di quella letteratura, la quale in presa diretta ha creato un controcanto di quel momento della nostra storia, quella di Volponi e Ottieri, Giudici e Fortini, e dell’esperienza olivettiana di Ivrea, di cui questo libro necessariamente si nutre. La strategia narrativa, riferita alle amnesie di Regina, è nella prima parte del romanzo, e può essere riassunta così: «I grattacapi cominciano quando si spacca qualcosa nel profondo e si creano le voragini. È allora che bisogna riempire i buchi, colmare le caverne sotterranee. Raccontare la vita può servire ad assecondare il sottosuolo».
LO SFORZO, è quello di fare un racconto onesto e realistico dentro l’immaginazione di persone ingenuamente incantate, attratte e contemporaneamente corrotte da quella che chiama «la vita sbarluscenta», il sogno illusorio di un benessere infinito, fatto soprattutto di merci, «partecipare alla sinfonia di quella stagione colorata al neon (…) un bagliore da trasmettere ai figli». Quel «miracolo» che Louis, come lo americanizza chiamandolo sua moglie, il montatore di parafanghi all’Innocenti, classe operaia meridionale, arrivato a Milano «per essere all’altezza di quegli anni», Louis il sovietico, condensa nell’aggettivo «atomico». ù
Dentro il racconto della vita quotidiana della «Famiglia in una vespa» finiscono tutte le mitologie, gli oggetti, i feticci di quell’archeologia, la cucina Salvarani, Yuri Gagarin e Nino Benvenuti, gli acquisti compulsivi alla Rinascente, la «montagna di vetri» del Pirellone, il tiro a segno all’Idroscalo e il festival di Sanremo, le canzoni di Jannacci e il Celentano de Il ragazzo della via Gluck, compreso l’Urss e «l’uomo falce e martello salito nel cielo dipinto di blu». Ma questo è anche un libro che mette insieme due epoche e due racconti, in mezzo c’è una donna anziana che è senza memoria in un letto d’ospedale che li tiene insieme uniti, simbolo forse di un blackout delle coscienze, e nel secondo, quello al presente nei primi anni ‘80, comincia un altro «miracolo», proprio mentre sta per finire anche il sogno di una cosa.
LOUIS «atomico e sovietico» non riuscirà ad accorgersi del vento ribelle che stava arrivando, gli scioperi e le manifestazioni, la strage di Piazza Fontana e gli anni di piombo, che nel libro restano in un fondale.
Nel romanzo la Storia è percepita nei movimenti interiori dei personaggi, nella loro leggenda privata, laddove irrompe cambiando la vita minuscola dei molti e i loro sogni fragili, per alcuni di loro diventati incubi, mentre il passato presto si trasforma in nostalgia.
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