Istantanee al profumo della zagara
Intervista Al primo piano della Casa dei Tre Oci di Venezia, un incontro con Ferdinando Scianna per la sua antologica «Viaggio, Racconto, Memoria», curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda
Intervista Al primo piano della Casa dei Tre Oci di Venezia, un incontro con Ferdinando Scianna per la sua antologica «Viaggio, Racconto, Memoria», curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda
Lo sguardo di Marpessa (Hennink) è una calamita per l’osservatore già in lontananza, mentre si salgono le scale che portano al primo piano della Casa dei Tre Oci di Venezia. Tracce di consapevole timidezza sembrano trasparire dagli occhi chiari della modella. Occhi che (forse) sanno recitare ma non mentire, proprio come quelli di Ferdinando Scianna che è l’autore di questo ritratto e di tutte le altre fotografie dell’antologica Viaggio, Racconto, Memoria, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, promossa da Fondazione di Venezia e organizzata da Civita Mostre e Musei e Civita Tre Venezie (fino al 2 febbraio 2020).
Una storia lunga 19 capitoli (dal Viaggio ai Bambini, dal Dolore al Sonno, dall’Ombra agli Specchi) che s’intrecciano tra loro attraverso una selezione di centottanta immagini in bianco e nero, a cui si aggiunge un nucleo di immagini a colori che esplorano il rapporto moda/Venezia. Quando, alla fine degli anni Ottanta, il fotografo torna a Bagheria (è qui che è nato nel 1943) per scattare le foto di moda per Dolce & Gabbana la sfida è molteplice: intanto fare moda ha delle regole diverse dalla fotografia di reportage.
GESTI ATAVICI
Il fotoreporter è un viaggiatore solitario alla ricerca di storie da raccontare, invece il fotografo di moda costruisce le sue storie come un regista, circondato e assecondato da un team di professionisti «e poi la sera si va tutti a cena insieme». Eppure quegli scatti che sembrano appena datati, in cui Marpessa entra nello scenario di una quotidianità atavica, non sono affatto forzati perché Scianna ha ritrovato e riconosciuto un apparato iconografico che apparteneva alla sua memoria di uomo e di fotografo. Come lui stesso afferma, si è trattato di «andare in giro e guardare cercando di vedere», naturalmente sempre all’inseguimento delle proprie ossessioni.
In parte quella Sicilia ritrovata tra i vicoli di Aci Trezza, Caltagirone, Modica, Palermo, Porticello e Bagheria con le donne ancora vestite di nero rappresenta per lui il momento in cui a 17 anni prende in mano per la prima volta la macchina fotografica e non fa altro che raccontare il suo mondo. «Guardando poi queste immagini, cominciai a capire che attraverso di esse avevo tentato un viaggio nella memoria della mia infanzia siciliana, scavando i resti archeologici del sentimento della donna quale nei miei primi anni di vita si era incancellabilmente inciso nella mia coscienza».
Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 l’isola era cristallizzata, avvolta in una dimensione temporale anacronistica – «mia madre faceva le stesse cose di Penelope», afferma il fotografo, le feste popolari erano fortemente intrise di pagana superstizione o, come scrisse Sciascia nel suo saggio, di religiosità materialista (anche per questo erano osteggiate dalla chiesa cattolica), mentre la vita contadina continuava ad essere dominata dal ciclo delle stagioni.
«Ho cominciato a fare le fotografie perché la Sicilia era lì – continua Scianna – Fino a 16 anni ho vissuto in un mondo in cui non c’era telefono né televisione. I rapporti erano molto fisici, corporali». Quei racconti si fissano con i sali d’argento negli scatti in bianco e nero dell’epoca, tutti realizzati con una Canon R2000 e l’obiettivo 50mm come Processione dei misteri del venerdì Santo a Ciminna (1964) e gli altri pubblicati nel libro Feste religiose in Sicilia (1965) che gli valsero non solo un successo improvviso e inaspettato, quanto la stima di grandi personaggi come l’autore de Il giorno della Civetta e di Henri Cartier-Bresson, i suoi mentori per eccellenza.
Nelle sue fotografie di allora cogliamo ciò che vedeva il bambino e poi il ragazzo adolescente che seguiva il nonno quando attaccava l’asino Ciccio al carretto per andare da un paese all’altro per comprare la pasta al pastificio o fare altre faccende, percorrendo non più di una manciata di chilometri. Un viaggio fisico che poteva impegnare quasi una giornata intera, segnato com’era dagli incontri con gli amici, dalle soste in balìa di quelle vicende umane da narrare e ascoltare. «Era un percorso di vita e anche un modo per entrare in relazione con la storia del paese».
PARTENZE
Un viaggio che era anche olfattivo: Scianna ricorda il profumo delle zagare, l’aria salmastra quando ci si avvicinava al mare. Testimone invisibile di questo suo mondo arcaico, come sottolinea anche Denis Curti nel catalogo pubblicato da Marsilio, «Ferdinando Scianna trova la scintilla, quell’input narrativo unico e irripetibile, nella ricerca di se stesso e del mondo a cui appartiene». La partenza, il distacco, la separazione dalla sua Sicilia – Milano, Parigi, New York – sarà un momento altrettanto significativo, una ferita aperta mai completamente cicatrizzata che, però, il fotografo deve proprio al successo di quel suo primo libro che ricevette il Premio Nadar e altri riconoscimenti internazionali, un passaggio decisivo che lo avrebbe portato ad accantonare definitivamente gli studi universitari e a vivere nella pienezza l’avventura di fotoreporter.
Di Sciascia, come di Cartier-Bresson, a cui fu legato da stima e profonda amicizia (è il primo italiano a far parte, dal 1982, dell’agenzia fotogiornalistica Magnum), vediamo in mostra i ritratti catturati in un momento della quotidianità. Con il primo, Scianna ha sempre parlato molto di fotografia, mentre con il secondo «discutevamo di tutto, tranne che di fotografia»: e dire che lo stesso fotografo riconosce la natura bressoniana della sua arte, così come Cartier-Bresson ritrovava nel giovane amico e collega la sua sicilianità, essendo stato concepito proprio durante un viaggio in quelle terre.
Il colpo di fulmine fra i due è accompagnato da un gustoso aneddoto che Ferdinando Scianna ha raccontato con quella sua nota dote di affabulatore durante l’incontro veneziano organizzato da Combo che ha preceduto l’inaugurazione della mostra Viaggio, Racconto, Memoria.
A CASA DEL MAESTRO
A Parigi Cartier-Bresson, che aveva visto e apprezzato Feste religiose in Sicilia, invita Scianna a cena. Il giovane fotografo porta con sé una scatola di immagini da mostrare al grande maestro, ma mentre l’ascensore sale, portandolo al piano dell’appartamento del noto fotografo lui ci ripensa, rendendosi conto di quanto possa essere di cattivo gusto far vedere il suo lavoro quando si è stati invitati a cena.
Lascia quindi il pacchetto nell’ascensore, incastrandolo nell’intercapedine, pensando di recuperarlo quando andrà via. Tutto procede tranquillamente finché, a un certo punto della serata, i vicini suonano il campanello consegnando a monsieur Cartier-Bresson quelle fotografie che pensano possano essere le sue. Una disavventura che, alla fine, volge al meglio, pur lasciando il fotografo più giovane in un imbarazzo notevole, ma anche con una preziosa storia in più che arricchisce il suo repertorio straordinario.
Un’altra storia interessante è quella legata a Martin Scorsese, ripreso nel suo appartamento newyorkese che mostra la foto formato cabinet di un bambino con la cuffietta, un suo avo siciliano di Ciminna o Polizzi Generosa.
LE RADICI DI SCORSESE
«Catherine la mamma di Martin raccontava dei suoi genitori che non si erano mai allontanati da Little Italy, che non avevano mai imparato una parola di americano, dello strano rito di preparazione, ogni anno, in the roof, dell’estratto di pomodoro, delle mitiche polpette col sugo… – ricorda Scianna – Mangiai le polpette di Catherine. Accompagnai i genitori a fare la spesa a Little Italy. Andai nei due paesi siciliani a fotografare gli ultimi parenti delle famiglie. Insomma, mi confrontai con le radici che costituiscono il retroterra essenziale dei racconti del grande cinema di Scorsese. Così, a lui chiesi di fotografarlo con alcune immagini del suo album di famiglia. Perfetta metafora, mi parve, della sua ossessione della memoria come identità».
Nella sezione ritratti troviamo anche Roland Barthes che fuma il sigaro, Milan Kundera, Jorge Louis Borges, Monica Bellucci, Armando Testa, Gillo Dorfles e Jacques-Henri Lartigue il giorno del suo novantesimo compleanno. Non manca, poi, «il mio portinaio che è andato in pensione a 83 anni e ogni volta che veniva a prendersi il caffè, fumava la sua sigaretta e mi dava lezioni di vita».
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