Israele minaccia le banche palestinesi: stop ai fondi per i detenuti politici o sarete punite
Israele/Territori Occupati Un ordine militare prevede la confisca dei sussidi destinati a 12mila prigionieri palestinesi e alle loro famiglie oltre a multe e carcere per chiunque faciliti l’erogazione dei fondi. In Cisgiordania attacchi alle banche che non hanno respinto l'intimazione israeliana
Israele/Territori Occupati Un ordine militare prevede la confisca dei sussidi destinati a 12mila prigionieri palestinesi e alle loro famiglie oltre a multe e carcere per chiunque faciliti l’erogazione dei fondi. In Cisgiordania attacchi alle banche che non hanno respinto l'intimazione israeliana
Due filiali della Cairo Amman Bank sono state prese a fucilate, altre banche hanno subito attacchi con molotov e sassate. Rischia di innescare una sollevazione la decisione degli istituti di credito nei Territori palestinesi occupati di piegarsi al nuovo ordine militare israeliano che prevede la confisca dei sussidi destinati a 12mila prigionieri politici palestinesi (anche gli ex) e alle loro famiglie e a quelle degli uccisi in scontri con l’esercito israeliano, oltre a multe e carcere per chiunque faciliti l’erogazione dei fondi. Poi a calmare le acque è giunto l’intervento del premier palestinese, Mohammed Shtayyeh, che ha assicurato la netta opposizione dell’Autorità Nazionale (Anp) al provvedimento israeliano. Shtayyeh ha garantito che le banche continueranno, per ora, ad erogare i sussidi. «Le famiglie di prigionieri potranno ritirare (il sussidio) dai loro conti bancari a partire da domenica 10 maggio…Rifiutiamo le minacce israeliane per i fondi assegnati ai prigionieri e alle famiglie dei martiri», ha comunicato il primo ministro.
Israele considera quei pagamenti come una sorta di «ricompensa ai terroristi» e da tempo punta a fermarli. E lo scorso anno ha detratto la quota destinata ai sussidi dai fondi che raccoglie mensilmente per conto dell’Anp, derivanti da dazi e tasse sulle merci che entrano o escono dai Territori occupati. La scorsa settimana le banche palestinesi – sotto il pieno controllo di Israele per qualsiasi movimento e transazione – hanno iniziato a chiudere i conti dei detenuti politici dopo aver ricevuto un avvertimento dall’istituto di ricerca israeliano Palestinian Media Watch (Pmw): la mancata chiusura dei conti comporterà pesanti sanzioni da parte di Israele poiché il versamento dei sussidi rappresenta una forma di favoreggiamento del terrorismo punibile con una multa e una condanna fino a 10 anni di carcere.
L’Associazione delle banche in Palestina difende le chiusure dei conti motivandole con la necessità di proteggere dal sequestro i fondi destinati ai prigionieri e di tutelare i loro dipendenti dal provvedimento israeliano. Allo stesso tempo invita l’Anp a trovare un altro metodo per effettuare i pagamenti lasciando intendere che le banche non si opporranno l’intimazione di Israele. Una posizione contestata da tutte le forze politiche palestinesi. Qadri Abu Baker, capo della Commissione per i prigionieri palestinesi, ha denunciato che almeno cinque banche hanno subito chiuso i conti dei prigionieri e che decine di famiglie sono già state informate telefonicamente che non potranno più riscuotere i sussidi presso le loro filiali.
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