Israele minaccia, il Giro esegue. Tolto “Ovest” da Gerusalemme
Israele/Palestina Nel sito della corsa era stata aggiunta una dicitura più vicina al diritto internazionale
Israele/Palestina Nel sito della corsa era stata aggiunta una dicitura più vicina al diritto internazionale
La Rcs Sport, organizzatrice del Giro d’Italia 2018 che partirà da Gerusalemme, piazza lo scatto vincente, supera in volata Donald Trump, e arriva prima alla proclamazione di fatto della Città Santa unita sotto la sovranità esclusiva di Israele. Mentre circolano insistenti le voci di un imminente riconoscimento Usa di tutta Gerusalemme capitale di Israele, inclusa la sua parte Est, palestinese, occupata da 50 anni, ieri gli organizzatori della celebre corsa a tappe hanno rimosso dal sito ufficiale del Giro la dizione “Ovest” accanto a Gerusalemme per indicare la sede della cronometro inaugurale prevista il prossimo 4 maggio. «Quella dicitura non ha alcuna valenza politica», ha comunicato Rcs Sport, «indica soltanto l’area logistica della città in cui si svolgerà la corsa. È stata subito rimossa da ogni materiale del Giro».
Sono bastate le proteste di due ministri israeliani e la minaccia di ritirare i cospicui fondi del governo Netanyahu per il Giro, per indurre l’organizzazione e il direttore della corsa, Mauro Vegni, a rimuovere all’istante la dizione “Ovest”. «Non esistono Gerusalemme Ovest e Gerusalemme Est ma un’unica Gerusalemme capitale di Israele», hanno tuonato i ministri della cultura e dello sport Miri Regev e del turismo Yariv Levin. «Quelle pubblicazioni sono una infrazione delle intese col governo israeliano e se non saranno cambiate – hanno minacciato – Israele non parteciperà all’evento». Israele, si dice, avrebbe messo a disposizione del Giro 10 milioni di euro e altri due milioni per la partecipazione del campione britannico Chris Froome.
«Lo sport non fa politica», avranno pensato quelli della Rcs Sport, o, peggio ancora, avranno pronunciato banalità del tipo «Lo sport avvicina i popoli in conflitto». Ma in questa terra tutto è politica. Lo dimostra proprio l’idea del governo Netanyahu di usare il ciclismo del livello più alto per un’iniziativa internazionale di pubbliche relazioni volta a celebrare Israele e il 70esimo anniversario della sua fondazione. Gerusalemme, proclamata tutta capitale di Israele con atti unilaterali non riconosciuti, è il simbolo della questione israelo-palestinese. Se Israele ripete che farà mai compromessi su Gerusalemme, i palestinesi reclamano diritti su almeno una parte, quella Est, della città in cui vivono da secoli. Tutto ciò i capi del Giro d’Italia non lo hanno tenuto in conto. Vegni si giustifica sostenendo di aver concordato il percorso della crono inaugurale tenendo conto delle linee guida della Farnesina per evitare «polemiche politiche». Piuttosto avrebbe dovuto coinvolgere anche i rappresentanti dei palestinesi se davvero, come afferma, intendeva organizzare un evento sportivo per i due popoli. Invece li ha coscientemente ignorati, assieme alle risoluzioni internazionali, per non irritare Israele e per assicurare al Giro i milioni di dollari promessi dal governo Netanyahu.
Il quotidiano Israel HaYom ieri riferiva che Regev e Levin accusano gli organizzatori della corsa di aver ceduto alle pressioni degli attivisti filo-palestinesi e di aver introdotto la dizione “Gerusalemme Ovest” per rimarcare che la città è composta da una parte ebraica e una palestinese. Almeno in parte è vero. Più di 120 organizzazioni per i diritti umani, sindacati, associazioni per il turismo etico, gruppi sportivi e religiosi hanno firmato un appello per invitare il Giro a non andare in Israele in considerazione, scrivono, delle «sue gravi e crescenti violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi». Tra i firmatari ci sono anche il linguista Noam Chomsky, i giuristi John Dugard e Richard Falk, l’attore e drammaturgo Moni Ovadia, l’ex vice presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, Fiom-Cgil e Usb nonchè le reti Pax Christi, la Comunità di San Paolo ed Ebrei Contro l’Occupazione. Il 25 e il 26 novembre in tutta Italia si sono svolti cicloraduni di protesta. Manifestazioni che con ogni probabilità hanno indotto gli organizzatori della corsa ad aggiustare il tiro almeno sul sito e il canale youtube del Giro 2018. Poi è giunta l’istantanea e clamorosa retromarcia dopo le proteste di Israele.
Debole la reazione palestinese. L’ambasciata di Palestina a Roma ha diffuso un breve comunicato in cui, ricordando lo status internazionale di Gerusalemme, si rammarica per la politicizzazione del Giro d’Italia e rivolge una critica leggera a Rcs Sport e a Vegni che, secondo i diplomatici palestinesi, agirebbero in contrasto con la politica dello Stato italiano
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