Cultura

Isor e Giulia, paladine della libertà dell’infanzia

Isor e Giulia, paladine della libertà dell’infanzia – Foto Ap

Narrativa Due esordi che raccontano storie famigliari a partire da piccole protagoniste: «La collera e il desiderio» di Alice Renard e «Mio padre è nato per i piedi» di Elena Bosi

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 17 agosto 2024

La collera e il desiderio di Alice Renard edito da Clichy (pp. 168, euro 18,50), con la traduzione di Tommaso Gurrieri, è un esordio che in Francia ha ottenuto un notevole successo, con la vittoria, tra gli altri, del Prix Méduse e una risposta entusiasta del pubblico di lettrici e lettori. È la storia di Isor, descritta nella prima parte del romanzo dall’alternarsi delle voci di «padre» e di «madre» che raccontano, a partire da due punti di vista molto diversi, le difficoltà di essere i genitori di una bambina che non parla: i medici dopo penosi accertamenti hanno decretato che «potrebbe», ma che evidentemente non vuole comunicare con loro.

«PADRE» PROVA RABBIA nei confronti di Isor e non la riconosce, mentre «madre» ama sua figlia senza rancore alcuno e si accontenta delle poche risposte mute con le quali Isor reagisce alle sue attenzioni, del fatto, per esempio, che le permetta di intrecciarle i capelli o di guardarla ballare. Nella seconda parte, la voce narrante è quella di Lucien, un vicino di casa che compare nella storia all’improvviso, anche bruscamente, un anziano fotografo che in passato ha avuto un certo successo. Instaurerà con Isor un rapporto di elezione. I due iniziano a trascorrere insieme ogni pomeriggio, giocano, per lui la bambina si traveste e fa le imitazioni dei suoi genitori, nonché dell’umanità che incontra durante le sue «fughe» a Bercy, in regione parigina, dove tutti loro abitano. Nella terza parte, a seguito di un infarto che colpisce gravemente Lucien, la storia cambia: Isor si rivela per essere più simile a un angelo che a un essere umano.
Anche l’esordio di Elena Bosi Mio padre è nato per i piedi edito da Neri Pozza (pp. 224, euro 18) è una storia familiare ma decisamente diversa. Intanto mentre Isor, per buona parte del testo, sembra incapace di parlare, qui la voce narrante è quella di Giulia, «la figlia dei portici». Questo soprannome deriva dagli anni della sua prima infanzia a Concordia quando lei, suo fratello e i genitori vivevano nella casa sopra il loro forno e lei trascorreva l’intera giornata a muoversi in triciclo fra una bottega e l’altra, con l’unico accorgimento di non uscire mai in strada.

ANCHE IL TONO del romanzo è dissimile rispetto a quello dell’esordio francese. Nel libro di Bosi, specie nella prima parte, si ride di gusto a leggere le gesta di Achille e Bomba, i due pazzi del paese e della loro gita a Bologna o del modo in cui il nonno Ettore, al massimo della rabbia, si rivolgeva alla nonna: «te, Dagma, sei fortunata, te stai bene al mondo, perché non capisci niente».
Nonostante Bosi ricorra poco al dialetto, riesce attraverso le sue storie a raccontare l’Emilia con vividezza, guidata da un desiderio sincero, dal bisogno probabilmente di riportare in vita attraverso la scrittura le personagge delle nonne: Marta e Dagma, appunto, dello zio Alberto, di parenti alla lontana e clienti della bottega a gestione familiare, prima la salumeria e poi il forno. L’ispirazione è certamente autobiografica, considerato che un capitolo si intitola «Il naso dei Bosi» e l’obbiettivo è forse quello di riportare in vita non solo delle persone amate e che sono state fondamentali per la scrittrice, ma anche un modo di stare al mondo e di essere bambine.
I due romanzi, seppur raccontino storie distanti e lo fanno con uno stile molto differente, decisamente evocativo quello di Renard (l’autrice è nata nel 2002 e in Francia il libro è uscito quando aveva solo 21 anni), perfettamente al servizio della narrazione quello di Bosi, dicono entrambi di un’infanzia libera.
Isor è incontenibile, se non quando guarda dvd con documentari di animali o programmi televisivi giapponesi, tanto che inizia a scappare la notte da sola già quando ha dieci anni.

GIULIA NON SOLO si muove liberamente da una bottega all’altra con il suo triciclo, come se tutti i commercianti dei portici fossero suoi parenti, ma trascorre spesso il pomeriggio a casa di una vicina mentre la madre si riposa e, in generale, vive l’infanzia tipica dei bambini e delle bambine nati negli anni ’70: coi genitori sempre al lavoro e i nonni, gli zii o chi c’era a farne le veci. Mentre il libro di Renard, però, è un inno alla libertà dell’anima che supera ogni vincolo di sangue, quello di Bosi sa ricreare un tempo e un luogo attraverso un intreccio potente di storie e di affetti familiari.

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