Islamisti contro Haftar, 20 morti a Bengasi
Libia Attacco degli uomini di Ansar-al Sharia. Dall'inizio della campagna "Dignità", lanciata dal generale, almeno 76 vittime
Libia Attacco degli uomini di Ansar-al Sharia. Dall'inizio della campagna "Dignità", lanciata dal generale, almeno 76 vittime
Islamisti radicali all’offensiva, in Libia. Ieri, a Bengasi (nell’est del paese), almeno otto soldati e 12 civili sono rimasti uccisi nel corso di violenti scontri tra gruppi jihadisti e forze armate fedeli all’ex generale Khalifa Haftar, l’uomo forte del momento. Gli uomini di Ansar-al Sharia hanno bombardato un campo militare delle unità speciali dell’esercito libico che appoggiano Haftar. E poi hanno accerchiato i soldati.
Le forze d’aviazione fedeli a Haftar hanno risposto. Si tratta degli scontri più violenti dall’inizio della campagna Dignità, lanciata dal generale il 16 maggio, che ha già provocato almeno 76 morti. Un’operazione condotta «per sradicare i gruppi terroristi nell’est del paese», secondo il generale, per lunghi anni coccolato dalla Cia.
Il comandante della base, il colonnello Saad al-Werfelli, ha dichiarato che a sostenere il gruppo islamista c’erano anche la Brigata martiri del 17 febbraio di Rafallah al-Sahati (il quale ha però smentito su Facebook) e lo Scudo della Libia, due potenti milizie. La prima, viene considerata la più forte e armata della zona, ha goduto dei finanziamenti del ministero della Difesa e ha assolto funzioni di ordine pubblico. La seconda è la più diffusa a livello territoriale e riunisce gruppi più piccoli a Misurata, Khums e Bengasi. Anch’essa autorizzata dal ministero della Difesa, ha agito come parte dell’esercito, pur continuando a sostenere il sanguinoso conflitto che attraversa le bande armate. A giugno dell’anno scorso, gruppi di manifestanti, alcuni dei quali armati, hanno attaccato la sua caserma a Bengasi per chiedere la sostituzione della milizia con quella dell’esercito regolare. Nello scontro sono morte 31 persone e 60 sono rimaste ferite.
Alla fine della rivolta contro Muammar Gheddafi, conclusasi col suo linciaggio nel 2011, si contavano oltre 1.700 milizie, molte delle quali d’influenza jihadista. Hanno chiesto i conti al nuovo governo. Ora proliferano soprattutto nell’est della Libia, culla della rivolta contro il Colonnello, e cercano di controllare il corso della Fratellanza musulmana libica. Ansar al Sharia è considerato responsabile anche dell’assalto all’ambasciata Usa a Bengasi, in cui perse la vita l’ambasciatore Chris Stevens, l’11 settembre del 2012. Ha giurato di riservare a Haftar la stessa sorte toccata al Colonnello, e lo ha definito «un nuovo Gheddafi, agente dei Servizi americani».
Anche al Qaeda del Maghreb islamico (Aqmi), domenica ha diffuso sui suoi siti un comunicato in cui ha definito Haftar «un nemico dell’islam» che bisogna combattere. «Grazie all’appoggio del sanguinario Sissi, alla complicità dell’America e ai fondi dei paesi del Golfo, il traditore Haftar ha ingaggiato una guerra contro l’islam col pretesto di combattere il terrorismo», ha scritto Aqmi. E i primi strali sono andati a Abdel Fattah al-Sissi, ex capo dell’esercito che ha vinto le presidenziali in Egitto. A seguire, un appello alle armate jihadiste affinché estirpino «il simbolo del tradimento e dell’apostasia: Khalifa Haftar e i seguaci di Gheddafi che sono al suo comando». Domenica il governo uscente di Abdallah al Theni (ora è stato nominato il nuovo premier Ahmed Maiteq, uomo d’affari vicino agli islamisti) ha scritto: «Dal momento che il governo denuncia il terrorismo, gli assassinii, i rapimenti e il terrore contro i cittadini, commessi da certi gruppi in nome della religione, non approva neanche questi atti (i raid) effettuati da chi afferma di parlare in nome dell’esercito libico».
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