Isis scappa da Manbij. Aleppo, rotto l’assedio
Siria Kurdi vicini alla liberazione della città al confine turco, «mosaico di popoli e fedi». Qaedisti e salafiti occupano una base militare e riaprono una via verso l’esterno. L’Onu potrebbe lavorare con Mosca ai corridoi umanitari
Siria Kurdi vicini alla liberazione della città al confine turco, «mosaico di popoli e fedi». Qaedisti e salafiti occupano una base militare e riaprono una via verso l’esterno. L’Onu potrebbe lavorare con Mosca ai corridoi umanitari
Dopo due mesi di scontri Manbij è ad un passo dalla liberazione dalla morsa Isis. Le Forze Democratiche Siriane (Sdf), federazione di kurdi, arabi, assiri, circassi, armeni e turkmeni, optano per la cautela: «La battaglia continua nel centro della città, controlliamo il 90% di Manbij», dice il portavoce Sherfan Darwish, ribadendo che solo il comando delle Sdf potrà annunciare la liberazione.
Secondo l’agenzia araba Al-Alam, gli islamisti hanno dato fuoco alle case in cui si nascondevano mentre i cecchini prendevano di mira i civili in fuga: due donne sono state uccise.
Sui social, però, già si festeggia: da roccaforte dell’Isis (che la occupò nel 2014), Manbij tornerà a breve in mano kurda.
Una posizione strategica: a poca distanza dal confine turco, a metà strada tra Aleppo e Raqqa, lo Stato Islamico perderà la via di trasferimento di uomini e armi sia dalla frontiera turca che dalla sua “capitale” alle porte di Aleppo.
Poche ore, dicono dal campo, e Manbij sarà svuotata delle ultime sacche di islamisti, ormai incapaci di rifornirsi di munizioni e rinforzi. «Manbij è un mosaico di popoli e fedi – dice all’agenzia kurda Anf il comandante El Kuseyir – Era andato perduto sotto l’occupazione dell’Isis che ha imposto un solo colore, una sola fede, una sola etnia».
Un’altra vittoria delle Unità di difesa popolari kurde di Rojava, dunque, negli ultimi mesi apertamente sostenute dagli Stati Uniti. Ovviamente furioso il presidente turco Erdogan: la sua personale lotta all’Isis la prosegue a suon di pallottole sparate al confine non contro gli islamisti che transitano ma contro i rifugiati che cercano salvezza. Ieri l’ultima vittima, Ehmed el-Ibed, 40 anni, padre di sette figli.
E se a Manbij Russia e Usa sostengono lo stesso gruppo armato, a 80 km di distanza lo scenario è opposto. Ci si gioca Aleppo e la guerra civile. La città vive un inferno di violenza in cui non esistono buoni e cattivi: si muore di missili delle opposizioni, di bombe governative, di giustizieri islamisti contro chi prova a fuggire.
Dopo l’assedio imposto da Damasco il 17 luglio con la chiusura totale della Strada del Castello, via di rifornimento per i “ribelli”, domenica le opposizioni hanno lanciato un’ampia controffensiva. Sarebbero almeno 115 i civili uccisi da allora: 65 morti in attacchi delle opposizioni, 42 nei raid di Damasco, gli altri schiacciati in faide interne ai “ribelli”.
Testa di ariete è Jabhat Fatah al-Sham, l’ex al-Nusra, e la sua galassia di alleati, da Ahrar al Sham a Jaysh al-Islam. Ieri hanno rotto l’assedio occupando la base militare di Ramouseh a sud-est. La tv di Stato siriana nega, parlando di un tentato assalto finito male, ma dal campo le voci sono altre: gli islamisti hanno assunto il controllo della base, confiscando un ingente quantitativo di armi e riaprendo i collegamenti con l’esterno. In un video pubblicato da Jaysh al-Fatah (federazione che comprende i salafiti di Ahrar al-Sham e l’ex al-Nusra) si vedono combattenti dentro la base.
Restano confinati dentro Aleppo i moderati dell’Esercito Libero Siriano che sostengono per quanto possono la controffensiva attaccando i governativi via terra. Un fronte variegato che dimostra sia l’irrilevanza militare di gruppi alleati occidentali (nonostante armi e denaro che da anni gli piovono nelle tasche e gli addestramenti milionari ricevuti in Giordania dalla Cia) e dall’altra l’impossibilità per i “ribelli” a presentarsi come alternativa credibile al governo Assad. Difficile immaginare un fronte di opposizione tanto spaccato in termini di posizioni politiche e visione strategica del futuro della Siria.
Ed ecco che la prospettiva diplomatica cambia totalmente, passando da Manbij ad Aleppo: da una parte Mosca e Washington fanno prove di coordinamento militare ufficiale, dall’altra sostengono forze opposte. In mezzo prova a mettersi l’Onu, con una mossa che preoccupa la Casa Bianca perché regalerebbe all’avversario Putin legittimità politica.
Secondo il The Guardian, le Nazioni Unite starebbe valutando la possibilità di appoggiare il piano di corridoi umanitari aperti da Mosca la scorsa settimana. Rapporti confidenziali ottenuti dal quotidiano britannico riportano della volontà a lavorare con la Russia per fornire assistenza umanitaria ai civili a condizione di una cessazione delle ostilità. Ad oggi solo 150 famiglie sono riuscite ad uscire da Aleppo attraverso i corridoi.
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