Isabella Cirelli (Lista Tsipras): «Il governo Renzi vuole una scuola di classe»
Europee 2014 Già presidente del Comitato 33 che ha vinto il referendum sulle scuole paritarie a Bologna, oggi è candidata per l'Altra Europa con tsipras nel collegio Nord Est: "Imporre il modello tedesco negli istituti significa aumentare le gravi disuguaglianze sociali che esistono in Italia"
Europee 2014 Già presidente del Comitato 33 che ha vinto il referendum sulle scuole paritarie a Bologna, oggi è candidata per l'Altra Europa con tsipras nel collegio Nord Est: "Imporre il modello tedesco negli istituti significa aumentare le gravi disuguaglianze sociali che esistono in Italia"
Isabella Cirelli era a capo dei cento volontari del comitato 33 che ha vinto il referendum bolognese sulle scuole paritarie nel maggio 2013. Una battaglia memorabile che il collettivo di scrittori Wu Ming definì come quella delle Termopili dove gli spartani sconfissero l’esercito di Serse che a Bologna schierava la Cei, Cl, il Vaticano insieme al Pd, Legacoop e Confcooperative. Oggi Isabella, che lavora per la filiale di un’azienda danese a Bologna ed è madre di una bambina di 4 anni, si è candidata alle europee per la lista Tsipras. Quei trecento spartani oggi li vuole guidare in una lotta ancora più ambiziosa, quella contro una declinazione particolare dell’austerità: la riforma della scuola italiana secondo il «modello tedesco». Per renderlo operativo, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini rafforzerà l’apprendistato e la formazione tecnica. A suo avviso sono queste le condizioni affinché l’industria manifatturiera italiana possa sopravvivere nei prossimi anni.
Perchè non è d’accordo con questa visione?
Perchè Giannini non mette in evidenza la caratteristica fondamentale del modello tedesco: la sua selettività precoce che interviene sulle prospettive di vita dei ragazzi già dalla fine dell’infanzia in ragione dei risultati scolastici conseguiti fino a quel punto. Dopo quattro anni di scuola primaria, i ragazzi vengono iscritti con il consenso dei genitori ad uno specifico tipo di scuola media inferiore che a sua volta li canalizza verso specifici tipi di scuola media superiore.
Con quali risultati?
Questo sistema vocazionale permette alla Germania di avere ottime performance nelle classifiche Ocse, ma vincola il successo scolastico di un alunno al livello di benessere socio-economico della famiglia di appartenenza. In questo modo, l’intero sistema scolastico tende a privilegiare i progressi di coloro che hanno ricevuto le migliori di condizioni di partenza dal reddito dei suoi genitori. Quella che si vuole importare dalla Germania è una scuola di classe.
Non crede che quella italiana sia già oggi una scuola di classe?
Lo è, purtroppo. I test Ocse-Pisa sulla matematica hanno confermato che gli alunni che vengono da famiglie di livello socio-economico basso ottengono risultati tre volte più bassi di quelli che vengono da famiglie con reddito più alto. Ma in Germania, a causa della selezione precoce, questo rapporto di probabilità sale a cinque. L’introduzione di questo modello anche in Italia peggiorerebbe le diseguaglianze esistenti, facendole dipendere sempre più dal background familiare.
Come si può evitare questo esito?
Iniziando a seguire le indicazioni che vengono persino dall’Ocse che raccomnda di limitare la selezione precoce a scuola e di innalzare l’età in cui realizzare la separazione tra i diversi tipi di curricula scolastici.
Esiste un collegamento tra l’auspicio del ministro Giannini sulla maggiore integrazione tra scuola e lavoro e la riforma dell’apprendistato contenuta nel decreto Poletti sul lavoro?
Il limite evidente dell’orizzonte programmatico sulla scuola in Italia è l’incapacità di uscire da un’ottica di tamponamente delle emergenze come l’edilizia scolastica o l’assorbimento del precariato degli insegnanti. Sono cose doverose, ma evitano di confrontarsi con i problemi maggiori.
Quali?
Un esempio basta per tutti: l’alto tasso di dispersione scolastica e la conseguente bassa percentuale di giovani che completano la media superiore: il 79% in Italia contro l’84% della media Ue.
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