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Irreversible Entanglements, il fascino indiscreto e politico della blackness

Irreversible Entanglements, il fascino  indiscreto e politico della blacknessIrreversible Entanglements – foto di Emanuele Meschini

Live Fra i protagonista di Novara Jazz Festival, il quintetto americano si è affermato grazie a uno stile sempre fuori dagli schemi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 febbraio 2022

Il passaggio degli Irreversible Entanglements il 7 marzo 2020 allo Spazio Nòva di Novara si prospettava come uno dei più attesi della stagione: fu uno dei primissimi concerti a saltare con l’inizio del lockdown. Novara Jazz, che peraltro già nel 2020 appena ha potuto si è rimessa in moto, e che lo scorso anno è poi tornata anche con il suo festival di tarda primavera, non ha voluto rinunciare a recuperare l’occasione andata a monte: a due anni di distanza, riproporre gli Irreversible Entanglements più o meno nello stesso periodo dell’inverno – domenica 6 febbraio – e nello stesso luogo dove erano previsti nel 2020 ha avuto anche un valore simbolico. Gli Irreversible sono un gruppo che si è coagulato nel 2015, nella temperie del movimento Black Lives Matter, a partire da «Musicians Against Police Butality», iniziativa organizzata per protestare contro l’ennesimo assassinio di un giovane afroamericano, Akai Gurley, ucciso nel novembre 2014 a Brooklyn da un agente della polizia di New York. Con il sassofonista Keir Neuringer, il trombettista Aquiles Navarro, il contrabbassista Luke Stewart, il batterista Tcheser Holmes, e la poetessa Camae Ayewa, più nota col nome d’arte di Moor Mother, il quintetto nel 2017 ha pubblicato l’album Irreversible Entanglements, poi nel 2020 Who Sent You? e recentemente Open The Gates (tutti su International Anthem), e si è affermato come uno dei gruppi più in vista di un filone di «nuovo jazz» statunitense e britannico che ha conquistato l’attenzione di un pubblico giovanile alla ricerca di proposte fuori dagli schemi e sensibile al fascino della blackness, di certi aspetti del jazz d’avanguardia (Coltrane, Sun Ra…), dell’attivismo.

DI QUESTO FILONE, in cui si possono rintracciare livelli qualitativi molto diseguali, gli Irreversible costituiscono certamente una delle presenze più robuste, e dal vivo non deludono le aspettative. Gli Irreversible si rifanno fondamentalmente, rielaborandole e attualizzandole – anche con qualche tocco di elettronica dei synth – a due tradizioni in cui gli afroamericani sono stati maestri: free jazz e spoken word. Nella tromba di Navarro e nel sax alto di Neuringer risuonano familiari accenti in cui si sente rivivere lo stile e la poetica di grandi protagonisti del free jazz, e di quella stagione riecheggiano l’irruenza e l’amarezza così come l’abbandono e l’estaticità. Non si tratta di un esercizio imitativo, di un ricalco, ma di una memoria viva, palpitante, di una consonanza innervata dal filo che corre tra le lotte di ieri e quelle di oggi: e il free è parte di una fresca varietà di situazioni, fiati che fraseggiano in parallelo, spunti e unisoni melodici, assoli più aspri e convulsi di Neuringer, più aperti alla morbidezza di Navarro, atmosfere vuoi sature vuoi nitide.

È AVVINCENTE poi la combinazione fra i rinvii al free e una ritmica che non lo è, che utilizza per esempio ritmi funky o caraibici, creando una base effervescente, con groove coinvolgenti: Luke Stewart è un contrabbassista formidabile, e la momentanea sostituzione in questo tour di Holmes con Lukas Koenig – che ha già lavorato col gruppo – ha funzionato a meraviglia.
E poi c’è il filo conduttore della spoken word di Camae Ayewa: più ancora che il significato delle parole, conta per la temperatura dell’insieme il calore emotivo della declamazione, spalmata come un mantra lungo il set, che si è snodato per un’ora senza soluzione di continuità. Questa sera +, gli Irreversible sono alla Multisala MPX di Padova, in chiusura di una tre giorni organizzata dal Centro d’Arte dell’Università, in cui si sono prima esibiti in duo e soli.

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