Irrequieta, versatile, elegante. Addio a Catherine Spaak
Visioni

Irrequieta, versatile, elegante. Addio a Catherine Spaak

Catherine Spaak e J. P. Belmondo in »Weekend a Zuydcoote» di Henri Verneuil, 1964 – Ap

Lutti Talento del cinema italiano e icona della tv, è morta a 77 anni domenica sera a Roma. Fu il volto di una generazione nelle pellicole di Lattuada, Risi, Pietrangeli

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 aprile 2022

Charles Spaak, sceneggiatore, è amico di Alberto Lattuada. Un giorno del 1953 Lattuada è a casa Spaak, in giardino, quando arriva una bimba di otto anni, in tutù che danza per loro. Alberto rimane colpito da Catherine, sì, era lei, e dice al padre che avrebbe voluto fare un film con quella bimba. «Troppo presto» la risposta di Charles. Alberto però non demorde così qualche anno dopo, e dopo che Catherine ha già partecipato a qualche film, tra cui Il buco, di Jean Becker, ottiene il permesso di portarla in Italia, garantendo che si sarebbe occupato con grande cura di quella quindicenne che gli era stata affidata. Così recluta una signora dai modi aristocratici, Margherita Di Serra Capriola, perché si occupi e vegli sulla ragazzina.

IL PERIODO è quello in cui gli adolescenti si affacciano alla vita con uno sguardo e delle tensioni sconosciute, in quei termini, alle generazioni precedenti. Sono diventati protagonisti. Anche le pulsioni sono più esplicite. Nabokov ha scritto Lolita e qualche tempo dopo Kubrick trasforma Dolores – Sue Lyon in folle oggetto del desiderio di Humbert Humbert. Il film che Lattuada sta girando è Dolci inganni, sottoposto a traversie censorie mostruose. Lui si difende dicendo che non mostra scene di sesso, e che i tagli richiesti rendono totalmente inspiegabile il comportamento di Francesca, la ragazzina, anzi la rendono decisamente amorale perché non si comprendono i motivi del suo comportamento.

È IL 1960, e quelle traversie segnano la carriera di Catherine, eccola infatti apparire in Diciottenni al sole (1962) di Camillo Mastrocinque, Il sorpasso (1962) dove interpreta la figlia di Vittorio Gassmann che non la riconosce e ci prova, ma lei sta con «l’anziano» Claudio Gora, La voglia matta (1962) di Luciano Salce, poi La noia (1963) da Moravia diretto da Damiano Damiani, con la scena di culto in cui, nuda, viene ricoperta dalle enormi banconote da diecimila lire. E ancora La calda vita (1963) di Florestano Vancini, La parmigiana (1963) di Antonio Pietrangeli (che anticipa Io la conoscevo bene). Solo Le monachine (1963) di Luciano Salce la vedono interpretare un ruolo diverso da quello della giovane seduttrice, anzi il suo personaggio è proprio quello di una suora accanto a Didi Perego. Partecipa anche a diversi film a episodi, Sollima, Ferreri, Franco Rossi, lavora anche con Vadim nella sua versione di Il piacere e l’amore da Schnitzler, e con Verneuil.

CATHERINE ormai ha venti anni (all’epoca in Italia si era ancora minorenni), si è già sposata con Fabrizio Capucci e ha già avuto una figlia a 17 (cerca di scappare con lei e viene arrestata, denunciata dai suoceri), è un’attrice affermata ma le donne devono stare al loro posto, diamine. La sua presenza segna un’infinità di film del nostro cinema divenuti di culto, come L’armata Brancaleone di Monicelli (dove ha affermato a più riprese di essere stata maltrattata), Il gatto a nove code di Argento, Febbre da cavallo di Steno. Non all’estero però, dopo una sola esperienza hollywoodiana (Intrighi al Grand Hotel di Richard Quine, 1967), dimenticabile, Catherine torna vincente in Italia dove è in grado di spaziare dal cinema alle canzoni, alla tv, oltre a un po’ di giornalismo e un pizzico di teatro. Talento versatile quindi che la porta a essere un personaggio amato sia dagli uomini che dalle donne, anche se sul piano lavorativo era considerata un personaggio difficile. Nel frattempo c’è stato un secondo matrimonio con Johnny Dorelli e un secondo figlio, seguito anni dopo da un terzo e un quarto matrimonio.

DONNA IRREQUIETA, volitiva, affascinante e soprattutto elegante, dotata di un appeal che dopo gli esordi da adolescente ha saputo gestire e adattare al passare del tempo. Forse tutto va ricercato nelle sue origini che risalgono al Belgio, anche se Catherine era nata a Boulogne-Billancourt, in Francia nei primi mesi del 1945 quando gli echi della guerra si erano appena allontanati ma il conflitto non era ancora concluso. Babbo Charles, si è detto, era sceneggiatore, la madre Claudie Cléves era stata prima attrice poi sceneggiatrice, la sorella Agnès, quasi coetanea è stata anch’essa attrice, lo zio Paul Henry Spaak ha ricoperto in più occasioni il ruolo di primo ministro del Belgio, sua zia Suzanne Augustine Spaak è annoverata tra i giusti allo Yad Vashem per avere salvato la vita a centinaia di giovani ebrei durante la Shoah, venne assassinata in carcere da uno scherano nazista nel 1944. Da diverso tempo Catherine Spaak era malata e non ne aveva fatto mistero, vivendo anche questa tragica dimensione esistenziale come aveva sempre fatto con la sua vita: affrontandola senza nascondere nulla. Un personaggio pubblico che ogni italiano ha avuto ospite in casa propria che fosse un film o uno spettacolo televisivo poco importa. Quel che importa è che ci mancherà.

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