Irreali fosforescenze naziste
Christopher Isherwood Alter ego dell’autore, William Bradshaw incontra il nervoso Athur Norris sul treno che dai Paesi Bassi arriverà in una Berlino straziata dall’odio: «Il signor Norris se ne va»
Christopher Isherwood Alter ego dell’autore, William Bradshaw incontra il nervoso Athur Norris sul treno che dai Paesi Bassi arriverà in una Berlino straziata dall’odio: «Il signor Norris se ne va»
«Isherwood ed io ci incontrammo sulla soglia – scrisse Virginia Woolf nel suo diario dopo una visita in casa di Max Beerbohm – il 1 novembre 1938», e con un colpo d’occhio sicuro il trentaquattrenne scrittore viene inquadrato in quella cornice che metaforicamente più gli si adatta. «È un virgulto selvaggio: con occhi vivaci: rapido: somiglia a un fantino. Quel giovanotto, disse W. Maugham ” ha in mano sua il futuro del romanzo inglese”». Erano già state pubblicate le storie berlinesi, Mr Norris Changes Train, Sally Bowles, poi incluso in Goodbye to Berlin: il giovane Isherwood dava belle prove di scrittura modernista: sapeva di dover mostrare piuttosto che narrare, l’occhio coglieva il «fuori», sintomo del «dentro» di una società alla vigilia di un violento rovesciamento, la Storia diventava cronaca vivace, accessibile, narrata da un testimone non ideologicamente coinvolto e tuttavia sempre presente: sulla soglia, appunto, a prendere nota di chi va e chi viene, comunista o nazista, popolano o alto borghese, figure a tutto tondo o folle anonime.
Torna in libreria il primo volume della serie Il signor Norris se ne va (Adelphi, pp. 248, euro 18, 00) nella gradevole traduzione di Pietro Leoni, che accompagna l’autore dal 1948. L’io narrante, il «bel ragazzo» William Bradshaw, alter ego dell’ autore, appare sempre mentre entra o esce da una situazione, a mo’ di testimone che guarda e tiene a mente; ma non gli è propria una piena comprensione dei fatti in cui è coinvolto casualmente.
Sin dalle prime righe l’occhio si impone come lo strumento più sensibile nella comunicazione tra scrittore e lettore, ma ancor di più, quando le parole sono meno affidabili, tra i personaggi stessi. «La prima cosa che mi colpì fu che gli occhi dello sconosciuto erano di un insolito colore azzurro chiaro. Quegli occhi incontrarono i miei per alcuni secondi, ed erano assenti, e senza dubbio spaventati. Allarmati e soffusi di innocente malizia, mi ricordavano vagamente un incidente che non potevo inquadrare; qualcosa che aveva a che fare con i primi anni di scuola. Erano gli occhi di uno scolaro sorpreso nell’atto di una marachella».
Sul treno che sta per entrare in Germania, il signor Norris – fronte scultorea, parrucchino, guanti, tremebondo forse per il controllo dei passaporti – dà inizio alla sua cauta, sorridente, seduzione del giovane inglese. Lo invita casa sua, infestata da Schmidt, un segretario violento, gli mostra la sua biblioteca di classici sado-maso, passano insieme la notte di San Silvestro 1931, in un locale sfarzoso, dove tutti ballano, ubriachi, in un’atmosfera greve di polvere e sudore, e profumi pesanti, in compagnia di due care amiche del signor Norris, creature di Schlichter e Grosz.
Compaiono Olga, enorme, una sinistra bambolona con gli occhi fissi di porcellana, e la piccola Anni, tutta in nero, stivali rossi, due signore che armate di pesanti staffili di cuoio facevano gemere di piacere il gentile signor Norris in sottoveste, e il suo aristocratico amico, il barone Kuno, perverso collezionista di libri per ragazzi. Fa da contrappeso l’umile pensione della signora Schroeder, che li accoglie affettuosa e infantile, anche lei in velluto nero, guance imbellettate, palpebre annerite, perle, una Maria Stuarda innocente e protettiva.
Più drastico il confronto con la sezione comunista dove il compagno Norris tiene un acceso discorso rivoluzionario. Anche in questa imprevedibile svolta Christopher segue il suo immaginifico amico, in ammirazione di quei «visi di lavoratori berlinesi, pallidi e prematuramente invecchiati, spesso smunti e ascetici come visi di studiosi, con capelli biondi e fini pettinati all’indietro». Anche se riluttante, entra in contatto con due sanguigni comunisti: Bayer, il capo carismatico e Otto, l’esuberante operaio. La minaccia che grava su Berlino si fa più compatta, più sinistra, concentrata nei luoghi simbolici: la squallida, affollata sezione comunista e il lussuoso, cupo, Hotel Kaiserhoff dove alloggiano Hitler e gli alti gerarchi nazisti.
«Berlino era in uno stato di guerra civile. L’odio esplodeva improvvisamente, senza alcun preavviso, da episodi in apparenza insignificanti … I coltelli balzavano fuori all’improvviso; si picchiavano coi tirapugni, coi boccali della birra, con le gambe delle sedie, coi bastoni piombati». La città rappresentata da Isherwood acquista la fosforescenza irreale del mito, nella danza sempre più vorticosa che gli imprime quel Tiresia modernista che è il signor Norris, il doppiogiochista, la spia delle spie, al di là di ogni comprensione, di ogni complicità, umile autore del prezioso testo sadomaso La sala di torture della signorina Smith. Inutile cercare di guardare negli occhi Bayer, Kuno, Schmidt, Norris … «”Doveva accadere, prima o poi” era il suo unico commento al nuovo regime. Mentre diceva così, cercava di evitare i miei occhi».
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