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Irlanda del Nord, il sorpasso dei cattolici

Irlanda del Nord, il sorpasso dei cattoliciI figli di una famiglia cattolica la cui casa è stata danneggiata da una bomba piazzata nella cassetta della posta a North Belfast, nel 2002 – Ap

Svolta demografica I risultati del censimento 2021 certificano un passaggio storico: le persone di orientamento cattolico sarebbero il 45,7% contro il 43,5% dei protestanti. La sensazione è che l’identità irlandese si stia rivelando più attrattiva di quella britannica. E forse la Brexit c’entra qualcosa

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 settembre 2022

A cento anni dalla fondazione dell’Irlanda del Nord, un censimento sancisce il superamento di equilibri ritenuti incrollabili su cui si basa l’idea stessa del microstato unionista. Quando alla fine della guerra d’indipendenza fu sancita la partizione dell’isola, lo staterello del Nord fu progettato quale entità dominata dall’élite protestante. A tale scopo fu disegnato il mosaico delle circoscrizioni per mantenerne l’egemonia attraverso leggi discriminatorie.

IL QUADRO OGGI appare radicalmente cambiato. I risultati diffusi ieri del censimento del 2021 ci parlano, ad esempio, di un 45,7% di abitanti che si definiscono cattolici o provenienti da un retroterra cattolico, a fronte di un 43,48% di cittadini autodefinitisi protestanti o appartenenti ad altre confessioni cristiane. Dieci anni fa le percentuali erano rispettivamente del 45% e del 48%. È da decenni che si parla della maggiore prolificità delle famiglie cattoliche: «Grande giorno per quanti di noi hanno un numero enorme di fratelli e sorelle. Ce l’abbiamo fatta, ragazzi!», ha twittato ieri un giovane ricercatore universitario.

Il censimento ci consegna dati interessanti anche per quel che riguarda le cosiddette politiche identitarie. Se infatti il 31,86% dei cittadini continuano a definirsi «esclusivamente britannici», a fronte di un 29,13% di «esclusivamente irlandesi», questi numeri vanno paragonati al censimento del 2011 in cui a descriversi britannici era il 40% contro il 25% degli irlandesi. Il dato va letto in controluce con la percentuale dei cittadini che si sentono «esclusivamente nordirlandesi»: nel 2011 erano il 21% mentre oggi sono il 19.78%. Se si sommano quanti si considerano «irlandesi» e quanti soltanto «nordirlandesi», la percentuale sale al 50% circa.

La sensazione è che l’identità irlandese si stia rivelando più attrattiva di quella britannica. Non è escluso che la Brexit abbia giocato un ruolo importante. Dobbiamo infatti ricordare che al referendum che sancì l’uscita del Regno Unito dalla Ue, il Nord aveva votato in maggioranza per rimanere nell’Unione.

Il discorso sull’attrattività pare confermato dal dato dei passaporti (nel Nord è consentito scegliere se avere un passaporto britannico, irlandese o entrambi). Nel 2011 il 59% della popolazione aveva un passaporto britannico e il 21% irlandese; oggi i numeri sono del 47% e del 27%, mentre il 5% ha entrambi i passaporti. Il trend mostra la prevalenza di chi preferisce avere un passaporto irlandese e dunque europeo.

LA REALTÀ, TUTTAVIA, è più complessa di quanto dicano i numeri. La divisione cattolici/protestanti nel Nord è infatti una semplificazione. La Chiesa cattolica ha storicamente contrastato i repubblicani, e gli stessi padri fondatori del repubblicanesimo erano protestanti. Per non parlare dei volontari protestanti che hanno militato nelle fila di gruppi paramilitari repubblicani.

Ma il fattore principale da considerare è che il travaso di voti tra chi si sceglie una specifica identità religiosa e le varie formazioni politiche, non è automatico, sebbene un trend elettorale consolidato veda i partiti dello schieramento repubblicano godere di maggior salute rispetto alle forze leali alla corona.

Va poi considerato che, durante il processo di pace, al progressivo disarmamento dei grandi gruppi paramilitari repubblicani, non è seguito un parallelo smantellamento degli arsenali dei lealisti, né è cessata la loro attività criminale.

MALGRADO LO SCENARIO odierno sia tutt’altro che un fulmine a ciel sereno, i commenti di esperti e politici indicano l’importanza di questi dati.

Secondo lo storico Diarmaid Ferriter siamo di fronte al dissolvimento di una supremazia numerica politica che va a sommarsi a quello di una supremazia politica. John Finucane, esponente di spicco di Sinn Féin parla di cambiamenti storici irreversibili in grado di aprire le porte a un futuro migliore per tutti, e sollecita il governo irlandese a prepararsi a un referendum sulla riunificazione.

La prospettiva è ancora distante nel tempo: gli accordi del 1998 stabiliscono che si potrà procedere in tal senso soltanto su mandato del Segretario di Stato britannico per l’Irlanda del Nord, e solo «allorché riterrà probabile che la maggioranza degli elettori esprima il desiderio che l’Irlanda del Nord smetta di essere parte del Regno Unito e si unisca a un’Irlanda unita». Parole che lasciano il campo a miriadi di interpretazioni.

Colum Eastwood, leader del partito social democratico e laburista parla di un momento cruciale nella storia recente dell’Irlanda, e della fine di uno «stato oppressivo che ha inculcato per troppo tempo la discriminazione nei confronti dei cattolici in ogni sua azione».
Gli risponde a distanza Jim Allister, capo del Tuv (Traditional Unionist Voice), rimarcando che il supporto elettorale per i partiti nazionalisti è sostanzialmente stabile: una considerazione che glissa sul fatto che il fronte unionista appare diviso da lotte intestine e si presenta di rado con un’unica voce.

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