Alias Domenica

Irlanda, dèi e angeli da Yeats a Heaney

Irlanda, dèi e angeli da Yeats a HeaneyPaul Henry, West of Ireland Cottages, 1926-’30 ca., collezione privata

Poesia irlandese da Yeats a Heaney Vivi e morti, profezia e magia, paesaggi e lotta politica... Una «navigazione» di Piero Boitani nella meravigliosa lirica irlandese del Novecento (con i due premi Nobel al centro) a partire dalla ricca tradizione medievale

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 5 dicembre 2021

Sguardo, lingua, musica: ecco le tre fonti, i tre strumenti della poesia, da cui Piero Boitani inizia Il grande racconto della poesia d’Irlanda, cominciando dalla metafora del Vedere le cose, titolo della lirica di Seamus Heaney e della raccolta di versi che la include, pubblicata nel 1991. L’espressione, che Boitani adotta per il suo libro (Vedere le cose, Mondadori, pp. VIII-397, € 30,00), indirizza sulla complessità del conoscere, almeno da tre prospettive diverse. Il poeta è in barca davanti al Connemara, l’acqua è profonda, quieta e trasparente, ma si sente sospeso in alto a mezz’aria, come da un’altra barca, dalla quale vede il pericolo con «due “cose”, diverse e simultanee: il fondo marino e il rischio della navigazione: l’oggetto esterno e quello interiore».
Con questo motivo guida, Boitani indica non solo la navigazione nel meraviglioso oceano della poesia irlandese e la personale esperienza di straordinario conoscitore e ri-tessitore di testi, a partire da quelli odisseici, ma il carattere inconfondibile di una grande cultura. Il suo sguardo non è mai semplice, ma sempre sorprendente: nelle passioni come nell’ironia; dal Canto di Amergin tramandato nel Libro delle Invasioni del XII secolo, intonato secondo il mito al suo sbarco in Ériu nel 1698 a.C., fino a oggi, dove Boitani individua in Michael Longley il suo più degno continuatore, capace di ricrearne le identificazioni con la natura, e di ripercorrere «l’immensa landa» di Omero, con potente ossessione d’eros e di Ade. Del resto, anche i più giovani, folti poeti irlandesi non hanno smesso di unire Dante a Omero, come aveva fatto Joyce, credendo che loro stessi sono greci. Non potremmo capire la poesia irlandese moderna, senza andare alle sue origini e al suo trascorso. Boitani li racconta nel denso capitolo iniziale, prima di affrontare i due vasti corpi di Yeats e Heaney, di cui approfondisce vita e pensiero nelle due Appendici finali, dopo un concentrato esame dei decenni seguenti la morte di Yeats, con il ritorno a Dante e Omero; intanto scorrono le bellissime immagini dei paesaggi e dell’arte d’Irlanda, scelte a illustrare questo «Oscar Saggi Baobab», imprescindibile per conoscere oggi l’isola, ancora unica, della poesia.
Colpisce che la navigazione, così naturale per chi è circondato dalle acque, nell’esperienza di Heaney richiami il viaggio nei profondi flutti dell’oceano divino dell’irlandese Giovanni Scoto, il maggiore filosofo-teologo tra Agostino e san Tommaso, attivo alla corte di Carlo il Calvo. Nel Periphyseon (Sulle nature dell’universo) Scoto invita a tornare in questo oceano: alla natura che non crea e non è creata: Dio. La teologia ha le qualità della poesia, ali slanciate di nave (la «navicella del mio ingegno», in Dante). Ma viaggia nella «teognosia» dell’ombra, che deriva da Plotino. Chi è superiore alla Luce appare in tenebra, caligine, «nube della non conoscenza».
Così è singolare che la trasparenza nel profondo che inquieta Heaney, appaia nella Navigazione di san Brendano: una «Odissea monastica», con ricordi classici, fusi con racconti di Gesù, secondo l’uso della letteratura che si forma dopo la cristianizzazione di san Patrizio, avvenuta nel 432. Spingendosi nell’oceano nebbioso con l’agile curach in legno di tasso, i monaci celebrano per sette anni, di isola in isola, le feste relative alla vita di Gesù e alla salvezza. In questo immram ed echtrae, pellegrinaggio e visione dell’anima tra portenti e mirabilia nell’oceano oscuro e misterioso di Dio – parallelo al reale viaggio di Colombano in Europa a fondare monasteri e scriptoria – vedere nel fondo del mare chiarissimo le generazioni delle bestie marine, spaventa i monaci.
La forza della metamorfosi è connaturata in quello sguardo che vede «altro» e «oltre», con un’immaginazione così intensa, da trasformare le cose, come per magia; o nel mutare vita, come nelle reincarnazioni. O ancora, come a Samhain, negli incontri tra i vivi e i morti, tra naturale e soprannaturale, quando i mondi si rovesciano. Ciò accade nella Station Island di Heaney, lo «scavatore di torba», che si ispira al Pozzo di san Patrizio, dalla stupefacente letteratura. San Patrizio! Al suo Credo resterà fedele anche Yeats, perché in quella prima Irlanda, angeli e dèi non sono distanti fra loro, e San Patrizio benedice i corpi giganteschi dei Fianna, mentre gli angeli gli ordinano di far scrivere ai poeti i miti degli eroi divini. E quali trasformazioni compiono Suibhne e Cuchulain, che Yeats continua a reimmaginare, fino a pochi giorni dalla morte!
La certezza che tutti i luoghi naturali sono animati; quel nominare i luoghi e le cose dagli eventi, da cui nasce il mito; l’amore per la natura; la conoscenza degli animali; l’identificazione con gli elementi – che il poeta incarna, della cui sapienza è depositario – ispirano l’inno all’unità dell’essere che è in loro. Amergin li elenca fino al proprio indiamento. Ecco, nella traduzione di Melita Cataldi: «Io vento del mare / Io onda contro la terra / Io fragore del mare … Io parola dei poeti / Io sgominante lancia della vittoria/ Io dio che dà fuoco al capo / Chi spiega le grandi pietre sulla montagna? / Chi conosce le fasi della luna? / Chi sa dove ha sede il sole?» Qui il senso delle scuole di druidi, di bardi, di fili, fino al grado supremo dell’Ollave (come spiega Robert Graves nella Dea Bianca), che Yeats celebra in The King’s Threshold, La soglia del re, dove Seanchan si lascia morire di fame, per affermare la dignità dei poeti, superiore a quella regale, tanto da sconfiggerne il potere, con l’atto dello striking, rievocato nel 1981 dallo Hunger Strike di Bobby Sand.
È sempre Scoto, che proponendo il microcosmo dell’homo-omnis, unità ontologica tra uomo e universo, intende la Natura come la realtà più assoluta e totale, che comprende sia Dio sia il creato. Scoto sostiene la natura comune di uomini e animali attraverso l’immortalità dell’anima, che partecipa dell’anima del mondo, principio universale che sorge dalla vita divina, e a essa riconduce. Nella sua arca filosofica Scoto imbarca non solo gli uomini, ma anche gli animali: unico a considerarli connaturati in noi, come i Padri della Chiesa mai si erano sognati. Nell’apocatastasis, l’intera natura risalirà alla sua origine. La visione di Dio riempirà il mondo di luce nella gloria della deificazione.
Quanto all’idea della soglia, Yeats ne assume la figura in ogni propria trasformazione, dal giovanile Crepuscolo celtico a Byzantium, in una configurazione impavida (con riflessioni tra le Upanishad, la filosofia Vedanta e Florenskij). Moltiplicando le antinomie dell’essere e le proprie lacerazioni sotto tutte le figure e tutti i simboli, elabora un «sistema» intorno alla teoria dell’anima, del Daimon e della Maschera, che confluisce in Una Visione, dove teorizza la storia delle civiltà con intenzioni profetiche. Yeats cerca la conoscenza che lega i vivi e i morti, tra profezia e magia, tra esperienza pratica, politica, e civile. La esercita dapprima nel recupero di testi e ampi studi su poeti e artisti consoni quali Blake, Shelley, Spenser, poi sempre con il teatro e la fondazione dell’Irlanda, progetti di unioni delle arti, e una poesia che riesce a trasformarsi mirabilmente fino alla fine, e che Boitani, già curatore del «Meridiano» Mondadori (2006), interpreta con la massima competenza e finezza esegetica.
Combattendo il provincialismo dei compatrioti, Yeats unifica le sparse eredità della futura nazione: i miti: lo spirito anglo-irlandese protestante di Burke, Grattan, Swift, Goldsmith, Berkeley: i resti della letteratura gaelica, un tempo illustre: i residui del pensiero immaginale sul destino delle anime disincarnate: ossia le sopravvivenze delle religioni indoeuropee che il folclore di una terra dissanguata dagli Inglesi e dalle carestie, ma non ancora adulterata dalle classi borghesi, cela in un mosaico unico al mondo. Come Eliot (che optò per l’anglicanesimo) si trova di fronte ai frantumi di ogni tradizione, ma sceglie di riplasmarsi nell’immaginosa scia della philosophia perennis. In nessun altro poeta la stessa poesia è, coscientemente e tutto insieme, parola pregnante-immagine sensibile-affetto-intelletto-simbolo-strumento musicale.

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