Cultura

Irina Hale, «ogni fiaba è sempre una finestra di libertà»

Irina Hale, «ogni fiaba è sempre una finestra di libertà»

Intervista Ospite al Festival dei sensi, l'artista, illustratrice e autrice parla dell'intreccio fra magia e realtà. «La mia linea-guida? L'espressività delle emozioni»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 14 agosto 2019

Disegnare favole, immaginare mondi e poi cucirli uno sull’altro, oppure lasciarli apparire e svanire tra le ombre su tende e pareti, ripercorrendo antiche strade della tradizione e nuovi sentieri dell’arte. Pronipote di Konstantin Ushinsky, insegnante e fondatore della pedagogia russa (che si rifiutò di seguire l’idea della dannosità dell’istruzione per le donne), Irina Hale è un’artista cresciuta in un incrocio di culture (Inghilterra, Russia, Irlanda) che, dopo molte esplorazioni intorno al mondo, laboratori didattici in India e Afghanistan, ha deciso di vivere fra i trulli pugliesi, in Val d’Itria. Qui è ospite del Festival dei sensi (dal 23 al 25 agosto), il cui tema quest’anno è dedicato al concetto di fiabesco.
«In un periodo molto duro della mia vita, a 13 anni, a causa di una grave malattia di mia madre – racconta Irina Hale – ho vissuto come una reclusa, senza scuola né amici: l’unica cosa che avevo era la magia di una pagina bianca sul tavolo davanti a me. Lì potevo finalmente esprimermi con i disegni e con le parole: era quella la mia finestra di libertà. Era il mio nutrimento, un po’ come la riserva di grasso della gobba del cammello nel deserto.

Qual è la letteratura che l’ha accompagnata nel suo viaggio intorno alle fiabe?
A cinque anni già leggevo fiabe in inglese, in russo e in francese, poi ho iniziato con i romanzi di avventura e i libri di storia, gli stessi che mio padre divorava da piccolo. A nove anni avevo già letto più volte Dickens e Kipling…e tutti i volumi della biblioteca di mio padre, motivo per cui pensai di iniziare a scrivere io stessa dei piccoli libri. Il problema è che non sapevo mai come finirli… Uno di questi, Lost Toys, fu inserito nella lista dei sei libri di testo della scuola materna inglese, negli anni ’70. L’elemento incantato della vita, quello delle fiabe, fa tuttora parte della mia esistenza di donna di una certa età. Mi è difficile scindere la fiaba dalla realtà: la fantasia è vera e bella solo quando trova la sua origine nella realtà; se fluttua isolata non conduce a niente. Ogni mio libro parte sempre da una emozione che ho vissuto.

Fra i suoi strumenti espressivi lei ha scelto anche la stoffa: è qualcosa che ha a che fare con le sue radici e le tradizioni russe?
Nella mia pittura, non cucio insieme i tessuti: al contrario, uso le stoffe per mitigare l’eccesso di realismo. Lavorando con questo materiale creo un mondo parallelo di simbolica somiglianza con gli oggetti che mi allontana da un realismo banale e mi trasporta in un universo fantasioso.

Pittura / illustrazione / teatro: sono modi diversi di affrontare un mestiere o c’è una medesima «linea-guida»?
Un artista è sempre sé stesso, quale che sia il medium con cui realizza le sue opere: il teatro delle ombre, ad esempio, non è altro che un ritagliare le figure suggerite dalla pittura. È sempre un tutt’uno: cambia di volta in volta solo la tecnica. La linea-guida è la espressività delle emozioni: per me è impossibile pensare a un paesaggio privo di figure umane. Da giovane ho fatto molti ritratti, ora però mi diverto di più a inventare un’umanità varia.

A cosa è dovuta la sua fascinazione per il teatro delle ombre?
Quando studiavo, in Inghilterra, avevo una maestra famosissima per il suo teatro delle ombre: ho imparato da lei. E tanti anni dopo sono andata a vivere in Puglia, e lì ho sentito che questo teatro poteva servire a colmare il vuoto culturale che vi percepivo: si tratta di un’arte molto poetica. Usavamo diapositive dipinte con colori per vetro, proiettavano un effetto magico. Abbiamo portato gli spettacoli in Germania e in Russia e tutti gli anni venivamo invitati nella cittadina turca di Bursa, culla del teatro delle ombre. Era un’attività particolarmente evocativa, una delizia per gli occhi.

Può raccontarci qualcosa rispetto alla sua idea di laboratorio e come si sviluppa la sua interazione con i lettori e con gli spettatori più piccoli?
Nel laboratorio del Festival del sensi, io e i bambini illustreremo fiabe pugliesi e useremo pastelli a olio, strumento molto simpatico e probabilmente sconosciuto ai partecipanti. Più i bambini sono piccoli, più riescono a esprimersi fuori dagli schemi, talvolta arrivando a sprigionare anche la creatività repressa degli adulti. Vorrei che sentissero che l’immaginazione è la sostanza dell’arte e anche della libertà.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento