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Iraq, tensione alle stelle tra fazioni sciite rivali

Iraq, tensione alle stelle tra fazioni sciite rivaliMoqtada al Sadr – Ap

Baghdad L'assalto al parlamento lanciato dai sostenitori di Moqtada al Sadr indica che lo scontro tra il religioso nazionalista e i suoi rivali pro-Iran può gettare il paese nella guerra civile. Intanto l'Iraq dieci mesi dopo le elezioni resta senza governo e presidente

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 29 luglio 2022

Una calma apparente regnava ieri a Baghdad, il giorno dopo l’assalto al parlamento da parte di centinaia di attivisti e simpatizzanti del blocco sciita nazionalista guidato dal religioso Moqtada al Sadr, decisi a bloccare la nomina a premier incaricato dell’esponente sciita rivale Mohammed al Sudani nel mezzo di uno stallo politico che dura ormai da dieci mesi.

Sarebbe un grave errore considerare la situazione sotto controllo. Certo, non è la prima volta che manifestanti violano la Green Zone di Baghdad dove si trova il parlamento. Ma le immagini di rabbia e violenza circolate nei social mercoledì sera indicano che lo scontro tra le formazioni sciite filo-Teheran e gli sciiti nazionalisti guidati da Al Sadr rischia di superare la linea rossa e di trascinare il paese in un sanguinoso conflitto interno già sfiorato durante le proteste popolari del 2019-2020. Sono eloquenti le foto dell’ex premier Nouri al-Maliki, capo del Partito dello Stato di Diritto filoiraniano, che cammina armato di mitra.  Sullo sfondo c’è la condizione di un paese che ha bisogno urgente di infrastrutture civili, che deve razionare l’elettricità nei mesi più caldi dell’anno e dove un terzo dei 41 milioni di abitanti vive in povertà. Senza dimenticare che l’Iraq possiede enormi riserve di petrolio e gas ma resta dipendente dalle importazioni, specie dall’Iran, per soddisfare il suo fabbisogno energetico e che deve fare i conti con una corruzione dilagante che, secondo stime ufficiose, dall’invasione anglo-americana e la caduta di Saddam Hussein 19 anni fa, avrebbe sottratto alle casse dello Stato circa 400 miliardi di dollari. Il paese, perciò, avrebbe bisogno di eleggere subito il suo presidente (curdo) e di formare il nuovo governo (a guida sciita). Ma il parlamento è paralizzato e Moqtada al Sadr ha messo in chiaro l’altro giorno che non è disposto a digerire un affronto come la nomina a premier di un rappresentante del blocco sciita rivale.

Dalle elezioni dello scorso ottobre Al Sadr e i suoi alleati sono usciti vincitori con 74 seggi su 329: è il gruppo parlamentare più numeroso. Il leader sciita, esponente di una importante dinastia religiosa, in passato è stato celebrato per aver dato vita all’Esercito del Mahdi, una milizia che ha rappresentato una spina nel fianco degli occupanti americani. Oggi invece è dipinto dai suoi rivali (e non solo) come uno «strumento» delle monarchie del Golfo e dell’Occidente per spezzare l’alleanza tra Baghdad e Teheran. Anche per questo in dieci mesi Al Sadr non è riuscito a formare il governo di ampia «maggioranza nazionale» di cui parla da tempo, rappresentativo di diverse fedi ed etnie, con dentro non solo musulmani sciiti ma anche sunniti e curdi. Un progetto che ha allarmato i suoi rivali. Se Al Sadr avesse successo, si realizzerebbe una deviazione dalla spartizione settaria del potere tra gruppi sciiti, sunniti e curdi. Per questo il religioso sciita ha incontrato ostacoli sino ad oggi non superabili. La legge irachena inoltre richiede una maggioranza di due terzi del parlamento per eleggere il presidente, numeri che Al Sadr non può mettere insieme.

All’incapacità di modificare una realtà che resiste da quasi venti anni, Al Sadr ha reagito qualche settimana fa annunciando una sorta di «ritiro dalla politica» e l’uscita dei suoi deputati dal parlamento. La mossa non ha prodotto effetti, anzi si è rivelata una occasione imperdibile per i suoi avversari di Fatah – il braccio politico della milizia filoiraniana delle Forze di mobilitazione popolare – che hanno prontamente indicato l’ex ministro ed ex governatore Mohammed al-Sudani come premier incaricato. Al Sadr ha risposto con rabbia. «La nomina di Al-Sudani è solo un pretesto per Muqtada al Sadr per esprimere il suo dispiacere per il sistema politico in Iraq…Lo avrebbe fatto con chiunque altro fosse stato nominato», ha dichiarato alla tv Al Jazeera l’analista Marsin Alshamary.

In contrasto con il caos interno, il premier uscente Mustafa al Khadimi, lavorando dietro le quinte, è riuscito a dare un peso rilevante alla politica regionale dell’Iraq. Baghdad, contro ogni previsione, è riuscita a mediare con un discreto successo tra Iran e Arabia saudita, contribuendo a ridurre la tensione nel Golfo. Allo stesso tempo ai confini nel nord dell’Iraq premono le forze turche che di recente hanno lanciato attacchi contro i curdi uccidendo civili e turisti. Martedì inoltre sono stati lanciati razzi da ovest di Kirkuk verso Qara Hanjir. Obiettivo il giacimento di gas di Khor Mor, gestito dalla Dana Gas degli Emirati.

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