Dopo il petrolio, l’acqua. I jihadisti dell’Isil tentano di assumere il controllo di un’altra fondamentale risorsa di un paese diviso. Dopo settimane di battaglia, nel fine settimana i miliziani qaedisti avevano annunciato l’occupazione della più grande diga irachena, a Mosul, la prima città a cadere nelle mani delle milizie guidate da Al Baghdadi all’inizio di giugno. A strappargliela sarebbero stati i peshmerga curdi, secondo quanto affermato ieri da Abdul Khaliq al-Dabbagh, direttore della diga di Mosul.

La diga, lungo il fiume Tigri, è strategica: gran parte dell’elettricità che rifornisce il nord del paese è prodotta a Mosul. «Se controlli quella diga, puoi essere una minaccia per chiunque», ha commentato Daniel Pipes, presidente del Forum del Medio Oriente. Se, aggiunge, l’Isil se ne dovesse impossessare, potrebbe provocare inondazioni che produrrebbero effetti disastrosi fino a Baghdad, a oltre 300 km di distanza. Senza contare l’importanza delle risorse idriche per un paese per lo più desertico, casa a 33 milioni di persone.

Nel mirino dei jihadisti non c’è solo l’acqua di Mosul. Da settimane i miliziani tentano di assumere il controllo della diga di Haditha, a ovest, sul fiume Eufrate, la seconda per grandezza. Venerdì scorso, i miliziani hanno lanciato un attacco su tre fronti contro la città di Haditha, nella provincia di Anbar, occupata a inizio giugno. Subito hanno assunto il controllo del quartier generale dell’esercito. Solo l’intervento delle tribù sunnite locali ha impedito l’occupazione definitiva della comunità. Non solo acqua, ma anche elettricità: una minaccia al funzionamento delle infrastrutture basilari del paese, già gravemente colpito dagli effetti dell’avanzata qaedista. All’inizio dell’anno, l’Isil aveva preso la piccola diga di Fallujah utilizzandola come arma: quando le truppe governative erano entrate per respingere l’avanzata jihadista, i miliziani avevano provocato un’inondazione per fermare l’esercito.

Un’offensiva tanto potente da convincere il premier Nouri al-Maliki a cercare un’alleanza con i peshmerga, nonostante le gravi frizioni tra Baghdad e Kurdistan iracheno. Lunedì il primo ministro ha inviato l’aviazione a sostegno dei combattenti curdi, oggi impegnati a difendere dagli attacchi dell’Isil 150 km di confine. Una cooperazione inattesa ma necessaria, nonostante nei due mesi appena trascorsi i rapporti tra Irbil e Baghdad si siano ulteriormente raffreddati per le minacce curde di un referendum per l’indipendenza. Barzani, il presidente della regione autonoma, sa bene che quanto ottenuto finora – dal controllo di Kirkuk all’allargamento ufficioso dei confini – sarebbe irrimediabilmente perso se l’Isil dovesse proseguire la sua offensiva verso nord, visti i recenti attacchi alle comunità curde da parte jihadista: domenica in un comunicato pubblicato sulla rete, l’Isil paventava «l’apertura dei confini tra la provincia di Ninawa e quella curda di Dohuk».

In passato c’è chi ha parlato di accordi sotto banco tra curdi e jihadisti per la spartizione dell’Iraq, ma negli ultimi giorni i peshmerga sono stati protagonisti di duri scontri con le milizie sunnite riuscendo a riconquistare le città di Zumar, Wana, Rabia e Sinjar. La ripresa di Sinjar, da cui sono fuggite 4mila persone della piccola comunità yazidi in pochi giorni (40mila il numero totale di rifugiati yazidi in fuga da nord), è giunta dopo i bombardamenti dell’aviazione irachena contro le postazioni jihadiste.

L’intervento di Maliki viene letto da Irbil come l’impegno ufficioso ad accettare le richieste di autonomia del Kurdistan. E, di conseguenza, l’impegno ad alleggerire le tensioni interne che fino ad ora hanno provocato uno stallo politico grave, che finora ha impedito al neo eletto parlamento di scegliere il nuovo primo ministro iracheno, la cui nomina deve essere archiviata entro l’8 agosto. Non solo: molti analisti vedono nella nuova cooperazione militare tra autonomia curda e governo centrale la chiave di volta all’intervento esterno. Da tempo sia Irbil che Baghdad chiedono agli Stati Uniti un sostegno effettivo contro l’avanzata dell’Isil. E a Washington, dicono fonti Usa, si sta discutendo dell’invio di armi e munizioni direttamente in Kurdistan, “bypassando” Baghdad.

Si muove anche l’Iran: fonti governative hanno riferito di discussioni tra Teheran e fazioni sciite irachene per la sostituzioni di Maliki, considerato una minaccia «all’unità dell’Iraq».