Iran e Usa. L’accordo per Netanyahu: il pericolo che fa più comodo
Accordo nucleare iraniano Mentre l’Europa in generale approva calorosamente l’accordo provvisorio con l’Iran, Obama cerca di vendere il prodotto agli statunitensi, con una forte opposizione della destra. Ma in Israele, Netanyahu è diventato […]
Accordo nucleare iraniano Mentre l’Europa in generale approva calorosamente l’accordo provvisorio con l’Iran, Obama cerca di vendere il prodotto agli statunitensi, con una forte opposizione della destra. Ma in Israele, Netanyahu è diventato […]
Mentre l’Europa in generale approva calorosamente l’accordo provvisorio con l’Iran, Obama cerca di vendere il prodotto agli statunitensi, con una forte opposizione della destra. Ma in Israele, Netanyahu è diventato il grande baluardo contro l’accordo stesso, reiterando i soliti concetti: «Olocausto»; «Chamberlain», «difendere la sopravvivenza degli ebrei», «solo noi…»
Negli ultimi anni le considerazioni rispetto al pericolo del nucleare iraniano sono state infarcite, in Occidente – per non dire di Israele – di una generale retorica contro il regime e di un’enorme ignoranza rispetto agli attori e ai processi in corso in Iran. Una festa di stereotipi orientalisti rafforzata dall’atteggiamento del presidente Ahmadinejad e dalla sua retorica infuocata, condivisa dal settore più estremista del governo. Per Netanyahu, Ahmadinejad era l’ideale. Ogni sua dichiarazione rispetto alla necessaria eliminazione di Israele rafforzava gli estremisti e provocava costernazione a livello internazionale; inoltre, in Iran, era un utile strumento per combattere i settori più democratici della società, una società multiforme in genere poco conosciuta in Occidente. I processi generali nella regione sono ignorati.
L’aggressione contro l’Iraq si concluse con una pseudo vittoria militare e un caos terribile nel paese tanto che gli stessi statunitensi si videro obbligati a riconoscere il ruolo dell’Iran nel processo di relativa pacificazione del paese. Oggi il siriano Assad, da dittatore sanguinario – con l’appoggio di Iran ed Hezbollah – è visto come un’opzione preferibile all’estremismo delirante dell’Isis il quale non fa che aggravare le differenze sunnite-sciite e che negli ultimi giorni si sta dando a una terrificante mattanza nel campo palestinese di Yarmuok.
E che cosa porta il grande Netanyahu a giocare a fare il superuomo che si oppone all’accordo con l’Iran? Ci sono diverse risposte possibili e conviene tenerne conto, perché riassumono i pericoli latenti della regione.
L’enorme «pericolo» sarebbe il fatto che in capo a 15 anni gli iraniani potrebbero costruire la bomba atomica. Un pericolo mortale, come sostengono, con Netanyahu, molti esperti militari? In un certo senso sì: Israele preferisce continuare ad avere il monopolio atomico nella regione. Alcune prove erano state condotte quando il Sudafrica era alleato di Israele e faceva parte di quell’asse Iran-Israele-Sudafrica che per il grande Kissinger – e per molti israeliani – era il perno della strategia occidentale per dominare tutta la regione.
Ma ecco una possibile soluzione per il presente: perché non obbligare anche Israele a firmare le convenzioni internazionali in materia di controllo del nucleare, nel contesto di una regione libera dalle armi atomiche?
Se si deve parlare di veri pericoli, poi, l’attuale e già esistente arsenale pakistano lo sarebbe molto più dell’ipotetica bomba dell’Iran. Ma per la politica della paura il «pericolo iraniano» fa più comodo; così Netanyahu esige che l’Iran riconosca Israele.
La sconsiderata politica di Netanyahu ha varie spiegazioni. Egli è il servitore fedele del milionario estremista Sheldon Adelson che finanzia un quotidiano gratuito popolare in Israele, appiattito sulle posizioni del premier. Adelson ha dato decine di milioni di dollari – si parla di cento milioni – ai candidati dell’estrema destra e partecipa a progetti di diversi oligarchi statunitensi che minacciano la cosiddetta democrazia Usa. Il discorso di Netanyahu al Congresso è stato reso possibile dagli alleati repubblicani di questa corrente bellicista che oggi vede in Obama il nemico e che è finanziata da Adelson e dai suoi amici. La seconda ragione è più complicata: anche nella campagna elettorale, Netanyahu si è basato sulla politica della paura. Questo non frutta solo vantaggi elettorali ma permette di continuare a rafforzare una coalizione nazionalista-fondamentalista il cui obiettivo è impedire la liberazione dei palestinesi assicurando l’annessione dei territori occupati alla «Grande Israele».
Netanyahu pretende di rafforzare l’alleanza con alcuni paesi arabi, come l’Arabia saudita, che hanno sempre considerato l’Iran un grande rivale nella regione. Israele, poi, appoggia gruppi problematici del Medioriente – compresi alcuni fondamentalisti, riforniti di armi da gli Usa – per sconfiggere Assad! Benché appaia contraddittorio, Netanyahu è consapevole del fatto che il crescente isolamento internazionale di Israele potrebbe accentuarsi nel caso di una coalizione solo di destra.
Il «grande pericolo» potrebbe giustificare la nascita di un governo di coalizione nazionale con i laburisti, per presentare al mondo una faccia un po’ più moderata di Israele. Ma infine ecco il «grande pericolo»: una regione più stabilizzata potrebbe essere una base per portare Israele a trattative vere con i palestinesi e a un reale accordo di pace. Per questo obiettivo è necessario non solo un cambiamento nella regione ma anche l’unità fra i palestinesi, compreso Hamas, «mostro orrendo finanziato dall’Iran». In poche parole, il dilemma è evidente: o un accordo o una terribile guerra. Per ora, i circoli estremisti in Israele e negli Stati uniti preferiscono l’opzione bellica.
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