Visioni

Ionesco e Pirandello, identità a confronto

Ionesco e Pirandello, identità a confrontoSei personaggi in cerca d'autore – foto di Jean Louis Fernandez

A teatro Due produzioni firmate da Emmanuel Demarcy-Mota approdate alla Pergola nel segno dei due grandi drammaturghi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 30 aprile 2022

L’alleanza fra il Teatro della Toscana e il parigino Théatre de la Ville, mentre rilancia un progetto di rifondazione della comunità teatrale europea (in ottica solidale post covid e post bellum) intercetta due produzioni firmate da Emmanuel Demarcy-Mota (che della sala di Place du Chatelet titolata a Sarah Bernhardt è direttore) approdate alla Pergola: Ionesco Suite e i pirandelliani Sei personaggi. L’assurdo di Ionesco suona datato. E nulla fa il regista per dissacrarne l’angustia. Si limita a una orchestrazione funzionale senza intaccarne il nocciolo. Le spinte impresse da Demarcy-Mota ai suoi attori (tutti encomiabili per estroversione e adattabilità) rimandano a una formicolante tavolozza claunesca, un gioco di sfasamenti e slittamenti che spolpa vari testi di Ionesco, un luna park pazzerello dove non mancano le torte in faccia e si cerca la complicità degli spettatori.

UNA INDISCUSSA perizia calligrafica che non intacca né l’illusionismo, l’insensatezza e ancor meno l’emorragia esistenziale del mondo contemporaneo (l’allusione finale a un teatro distrutto conferma l’accademismo di partenza). Se la giostra ioneschiana rischia l’inceppamento la parabola pirandelliana trova un inedito respiro che fa del palcoscenico, del fare e disfare, della dialettica fra immaginare e organizzare, la culla dell’invenzione drammatica e il vero protagonista dello spettacolo. Svelati i sei personaggi con bell’effetto da kantoriana «classe morta», il regista punta sulla moltiplicazione dei piani narrativi, innescando una coreografica sequenza di scene e controscene dialoganti fra loro che sfila via leggera, abbracciando attori e tecnici, legittimi residenti e misteriosi intrusi. Come a sottolineare che una rinnovata comunità teatrale, senza paura delle «diversità», è forse possibile.

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