Visioni

Io ballo da sola

Io ballo da sola

Femmine Folli al Lido tutte le sfumature del ballo

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 11 settembre 2015

Ho voglia di ballare. Ci avevo sperato prima di partire. Mi ero detta: «vedrai che qualche festa danzante esce fuori». E invece niente. Pochi inviti (direi nessuno ad esser sincera), un paio di possibilità che si affacciavano all’orizzonte, alla fin fine una solo festa a cui sono stata imbucata, dove non si ballava. Dunque il desiderio di scuotere il bacino, sciogliere i capelli e ondeggiare sudando tra simili è rimasto, prepotente più che mai. D’altro canto non è neppure stato un festival che questa aspirazione l’abbia stimolata visivamente. Nelle pellicole viste pochi sono felici e spensierati da ballare, pochi si lasciano andare col sorriso al ritmo. Questi sono quelli che ricordo.

In Tibet Tharlo, (film omonimo, Pema Tseden) canta parole d’amore disinvolto nella natura alle sue pecore e con vergogna ad una giovane donna. Marguerite (Catherine Frot, film omonimo, Xavier Giannoli) si scatena dopo teatro in una pista composta di travestiti attricette mezze nude e donne barbute. Il ballo tra Armando (Alfredo Castro), Elder (Luis Silva), la madre e la festeggiata rosa confetto che scatena gelosia e desiderio in Desde allà (Lorenzo Vigas). «Io t’amo, t’amo» cantata sulla base da Eva (Elena Radonicich) in Banat (Adriano Valerio). Canti e balli rituali di gruppo di Tanna (Bentley Dean e Martin Butler), coreografie magnifiche da vedere, come assistere a un fenomeno della natura al ralenti.

La musica politica di À peine j’ouvre les yeux (Leyla Bouzid): Farah intona parole in melodia come veicolo di protesta contro lo Stato, contro l’oppressione, canzoni come arma di libertà . La danzatrice di lap dance in Underground Fragrance (Pengfei): un ballo disperato, spento, movimenti che piangono. La danza della cavalla donna in Boi neon (Gabriel Mascaro): uno spettacolo visivo unico, trompe l’oeil tra umanità e animalità. La scena del ballo a due guardato da altri due che restano ai lati, attratti per ragioni diverse, ne L’attesa (Piero Messina): bertolucciano, sensuale, volutamente ambiguo. Il karaoke nella taverna dell’isola ballato incestuosamente da Henry (Ralph Fiennes) e Penelope (Dakota Johnson), padre e figlia, in A Bigger Splash (Luca Guadagnino) davanti a un pubblico locale. Il ballo alla luce dei fari della macchina tra Cesare (Luca Marinelli) e Viviana (Silvia D’Amico) fatti come cocuzze in Non essere cattivo (Claudio Caligari).
Le pazze acrobazie nevrotiche avviluppanti diaboliche di Filippo Timi in Sangue del mio sangue (Marco Bellocchio).

Qui tutti vogliono essere corteggiati adulati lodati. E io non corteggio nessuno. Al limite vorrei anch’io, come loro, essere oggetto di coccole. Che siano produttori registi uffici stampa giornalisti selezionatori organizzatori di festival, tutti, in una gerarchia più o meno stabilita, vogliono una corte che stia lì a ricordare loro quanto sono fichi, che cose meravigliose hanno fatto nella vita e, se hanno qualcosa nel festival, soprattutto che questa cosa è davvero la migliore. Quindi sorrisi, gentilezze, frasi e occhi dolci in nome della più assoluta insincerità e servilismo. Una commedia triste tra Beckett e Ionesco.
Vi chiedete come mai posso dirlo senza inimicarmi nessuno? Perché non avendolo mai fatto non c’è nessuno che si offenda (ecco trovata la risposta al perché, in effetti, nel mondo del cinema lavoro poco e niente: sgrunt, magari in un’altra vita… perché questa era solo la prova, no? Non avevamo cominciato le riprese?!?).

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