In un parlamento egemonizzato in chiave bipartisan da forze organiche a quello che Bettini forse definirebbe «estremismo atlantista», le mozioni contrarie all’invio routinario – al seguito delle precedenti decisioni di Draghi e dopo un emendamento che nascondeva la decisione – di nuove armi per la guerra in Ucraina non potevano che essere sconfitte. Fatto singolare, mentre i putiniani veri, i sovranisti e gli iper-nazionalisti strabici che vedono la Nato al posto dell’Ue – si annidano nei banchi della destra e destra estrema che vuole l’invio di armi, il Pd e Az-Iv , con astensioni incrociate alla fine sorreggono l’esecutivo Meloni e si oppongono alle coraggiose quanto inascoltate prese di posizione di Verdi-Sinistra italiana, sostenute nel voto in aula anche dal M5s, che insistono sulla sola scelta diplomatica ormai cancellata da tutti a nemmeno un mese dalla grande manifestazione pacifista di Roma del 5 novembre. Poi arriverà un decreto del governo per decidere davvero l’invio di armi, per «equilibrare le forze in campo» dichiara Giorgia Meloni nell’intervista di questi giorni al Corriere. Ma come con la Russia potenza nucleare?

Eppure la questione dell’invio di armi a Kiev contro l’aggressione russa, propone ormai dopo più di nove mesi di conflitto sanguinoso, temi ineludibili, domande scomode e irritanti, e un giudizio perlomeno critico. Giacché, ancora una volta, bisogna ricorrere a Bergoglio.

Che ha detto: «L’invio di armi è un fatto morale se chi lo fa vuole che un popolo si difenda, oppure si vuole la continuazione della guerra…». Ci si chiede, visto che ad inviare le armi non è la coscienza – come la nostra – dolorosa e impotente di tante individualità anche di sinistra, ma la Nato, di che moralità si tratta se ha una responsabilità dirette per questa guerra? Noam Chomski che non ha esitato a definire «eroica» la resistenza ucraina, allo stesso tempo, come scrive nel suo ultimo saggio-intervista “Perché l’Ucraina” non risparmia accuse per questa guerra alla strategia di allargamento della Nato a Est, pericolosa ed esplosiva già per Gorbaciov prima di uscire di scena e secondo molti della stessa leadership Usa – da Kissinger a Kennan. L’invio degli Stati atlantici non è un fatto morale ma si muove nell’ottica della guerra che deve continuare, in modo speculare a quella di Putin. Se fosse moralità aiutare in armi un popolo aggredito, perché non inviarle anche ai palestinesi, ai curdi e agli Houti, per guerre e occupazioni militari per le quali invece le armi le inviamo agli aggressori?

Ma il fatto più rilevante è che siamo a più di nove mesi di guerra e non un commentatore pacifista ma il capo di stato maggiore dell’esercito Usa Mark Milley – uno che le armi a Kiev le invia, come la Nato che ammette con Stoltenberg di avere «addestrato dal 2015 l’esercito ucraino – a metà novembre ha dichiarato che dopo «200mila morti e feriti da una parte e dall’altra», non c’è alcuna possibilità di soluzione militare del conflitto e nessuna probabilità di vittoria ucraina o russa che sia, ma c’è solo l’opportunità di tenere aperta una «finestra negoziale» e inoltre che« è ’ improbabile che Kiev liberi tutto il territorio ucraino occupato». Varrà la pena interrogarsi su queste dichiarazioni? Putin deve andarsene a casa, speriamo. Ma non lo farà per via militare.

E torna il tema del riarmo. Quando Draghi decise il riarmo italiano addirittura con ipotesi di sfondamento del tetto del 2% all’interno del riarmo della Nato per un costo che arrivava sui 30 miliardi, insieme al provvedimento sull’invio di armi in molti da sinistra si dichiararono d’accordo con quest’ultima decisione ma contro ogni riarmo. Ora le due cose purtroppo si parlano: le fonti americane e tedesche dichiarano la scarsità di armamenti, se non addirittura i depositi che si avviano ad essere svuotati, tanto che slitta la consegna di armi americane a Taiwan. Vuol dire che se la consegna di armi a Kiev svuota gli arsenali, questo diventerà sempre più il giustificativo per chiedere di riempirli: vale a dire il riarmo. Mentre aumentano i costi sociali della crisi.

E c’è la questione sollevata dal rapporto di Amnesty International dell’agosto scorso. A conclusione di una ricerca fatta sul campo a Kharkiv, Mykolayv e Donbass in una fase molto complessa del conflitto con la controffensiva verso Kherson in difficoltà e l’est martellato dall’artiglieria russa, Amnesty ha accusato l’esercito ucraino perché «nel tentativo di respingere l’invasione russa iniziata a febbraio le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione civile collocando basi e usando armamenti all’interno di centri abitati, anche in scuole e ospedali». Era una fase della guerra, ma da allora l’invio di armi è aumentato, in quantità e qualità, al punto che siamo a più di 40 miliardi di armamenti arrivati dalla Nato, trasformando il territorio dell’Ucraina nel più grande hub di armi del mondo. Fermo restando che gli attacchi criminali russi da tempo sembrano prendere di mira direttamente anche le infrastrutture civili come l’energia, il rischio è che aumenti il pericolo che denuncia Amnesty, che ha aggiunto nel rapporto: «Queste tattiche violano il diritto internazionale umanitario perché trasformano obiettivi civili in obiettivi militari. Gli attacchi russi che sono seguiti hanno ucciso civili e distrutto infrastrutture civili».

Senza dimenticare che sempre ad agosto una percentuale altissima, tra il 60 e il 70% delle armi inviate a Kiev, mancava all’appello: al punto che da Washington è stato inviato il super-generale Garrick Harmon a caccia delle armi scomparse. Tenendo anche conto degli allarmi di Europol che metteva in guardia sul fatto che le armi potessero finire alla criminalità organizzata. E possiamo poi dimenticare che siamo ancora all’ombra del recente«incidente polacco»: un missile dichiarato da Zelenski «messaggio di Putin al G20» in corso, è invece risultato missile ucraino finito in terra polacca che rispondeva ad un attacco russo. Sono state ore drammatiche, si è rischiata la risposta della Nato e una crisi che camminava sull’orlo di un conflitto atomico. Una vicenda che sembra racchiudere in sé il rischio «normale» di un incidente deflagrante e il fatto che le armi di difesa possono diventare di offesa.

E poi perché escludere la volontà di offesa alla Russia di fronte ai sanguinosi bombardamenti di Putin che martellano ogni giorno i civili ucraini? Chiedeva il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba ad un giornalista italiano inviato sul campo: «Come mai Putin può arrogarsi il diritto di colpire impunemente la nostra capitale e noi non potremmo rispondere su Mosca?». Già, perché no…