Guangzhou e Hong Kong sono separate da poco più di 140 chilometri, 48 minuti di treno veloce. Eppure, non è una distanza coperta così spesso negli ultimi tempi, soprattutto dai diplomatici occidentali. Colpa della repressione delle grandi proteste del 2019, con la dura risposta della polizia e l’introduzione di varie leggi che di fatto hanno rimosso l’opposizione politica e civile nell’ex colonia britannica. Quei 140 chilometri li ha però percorsi Dmytro Kuleba, presentatosi a sorpresa ieri a Hong Kong nell’ambito del suo viaggio di quattro giorni in Cina. Per diverse ore ci si era chiesti che fine avesse fatto il ministro degli Esteri ucraino, dopo che mercoledì aveva incontrato l’omologo Wang Yi a Guangzhou. Un po’ sorprendeva il silenzio dei canali comunicativi cinesi, dato che la visita di Kuleba è stata presentata come la prova dell’imparzialità di Pechino sulla guerra. Poi, in serata, la conferma della tappa a Hong Kong. Qui, Kuleba ha incontrato il governatore John Lee.

Prima di entrare in carica nel 2022, è stato prima un ufficiale di polizia e poi segretario per la sicurezza, ruolo in cui ha diretto in prima persona la risposta delle autorità dell’ordine pubblico alle proteste pro democrazia. E per questo è stato anche sanzionato dagli Stati uniti, che l’anno scorso hanno sfidato la prassi diplomatica pur di non invitarlo al summit Apec di San Francisco. Per salvare le apparenze, e l’incontro programmato in quella occasione tra Xi Jinping e Joe Biden, si parlò infine di assenza dovuta a «problemi di agenda».

KULEBA non si è fatto problemi a incontrare Lee, al quale ha chiesto di aumentare il controllo sulle esportazioni verso la Russia, per evitare che Hong Kong diventi una sorta di ponte con la Cina o altri paesi per inviare a Mosca prodotti strategici come i microchip o materiali dual use con possibile applicazione militare. Si è poi parlato anche di affari, con Kuleba che ha prefigurato un ruolo privilegiato per gli investimenti di Hong Kong nella fase di ricostruzione post bellica dell’Ucraina. Questa tappa è vista positivamente da Pechino perché legittima le autorità della regione amministrativa speciale, sempre più vicine al Partito comunista, e rafforza la sensazione che Kiev ritenga cruciale il ruolo della Cina per raggiungere la pace.

Sui social cinesi il commento che prevale è un po’ il seguente: «Gli ucraini hanno capito che non possono fidarsi degli Usa e che hanno bisogno di noi per la pace». Tanto che in parecchi consigliano ai taiwanesi di seguire l’esempio. A proposito di Taiwan, sull’isola è stato notato il passaggio della conversazione con Wang in cui Kuleba avrebbe detto che Kiev «sostiene la posizione di Pechino su Taipei e continuerà ad aderire alla politica dell’unica Cina». Il passaggio compare nel resoconto cinese e non in quello ucraino, ma il bis di Hong Kong aumenta i sospetti di chi a Taiwan è rimasto deluso, visto l’incondizionato appoggio dato dal governo locale all’Ucraina sin dall’inizio del conflitto.

RESTA DA CAPIRE, a questo punto, l’effettiva portata della contropartita cinese di fronte ai vantaggi d’immagine che si stanno ricavando dalla visita di Kuleba. Sulla possibile accelerazione per organizzare una conferenza di pace riconosciuta sia da Kiev sia da Mosca, pesano le reali intenzioni di Zelensky e Putin. Nel frattempo, comunque, Pechino continua a mantenere legami saldi con la Russia. Oltre ai jet al largo dell’Alaska, una nave da guerra cinese ha attraccato in questi giorni a San Pietroburgo, mentre il vicepremier Ding Xuexiang è stato a Mosca per un forum sulla cooperazione energetica.