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Investimenti statali Invitalia sul vaccino Reithera

Investimenti statali Invitalia sul vaccino ReitheraDomenico Arcuri, a capo dell’agenzia governativa Invitalia – LaPresse

81 milioni di euro, di cui 69,3 per realizzare le fasi 2 e 3 dello studio clinico. Il prodotto potrebbe essere totalmente testato entro la fine dell’estate.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 gennaio 2021

Invitalia, l’agenzia governativa dedicata allo sviluppo di progetti industriali guidata da Domenico Arcuri, investirà 81 milioni di euro nella società farmaceutica Reithera di Castel Romano, alle porte di Roma. «Gran parte dell’investimento – 69,3 milioni – sarà destinato alle attività di Ricerca&Sviluppo per la validazione e produzione del vaccino anti-Covid», spiega Invitalia in una nota. «La restante quota (11,7 milioni) sarà utilizzata per ampliare lo stabilimento di Castel Romano (Rm), dove sarà prodotto l’antidoto».

Il governo torna dunque ad investire in un settore ad alto tasso di innovazione come la ricerca farmaceutica. E non lo fa solo con un finanziamento, ma entrando direttamente nella proprietà dell’azienda: «Invitalia acquisirà una partecipazione del 30% del capitale della società, a seguito di un aumento del capitale di Reithera», spiega il comunicato. Arcuri parla di «un accordo importante per ridurre la dipendenza del nostro Paese in un settore delicatissimo per la tutela della salute dei nostri cittadini». Se grazie all’aiuto pubblico l’azienda dovesse realizzare davvero un vaccino anti-Covid-19 efficace, la produzione potrebbe raggiungere i cento milioni di dosi l’anno, anche grazie all’assunzione di 40 nuovi dipendenti. «La produzione italiana di vaccini andrà ad aggiungersi a quelle realizzate all’estero– aggiunge Arcuri – rafforzando la capacità di risposta nazionale alla pandemia e accelerando così l’uscita dalla crisi».

Il vaccino Reithera ha superato poche settimane fa la fase 1 della sperimentazione, quella in cui si valuta la sicurezza e la capacità di stimolare una risposta immunitaria nei volontari che si prestano alla somministrazione. «L’investimento di Invitalia permetterà di realizzare la fase 2 e, se l’esito sarà positivo, anche la fase 3 dello studio clinico», spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”, che coordinerà le ricerche. «Se tutto andasse per il verso giusto, i risultati della fase 3 potrebbero arrivare entro la fine della prossima estate. Ma sarà necessario coinvolgere altri centri negli studi clinici oltre allo Spallanzani».

Il vaccino Reithera potrebbe rivelarsi prezioso per l’Italia, se si dimostrerà efficace. Rispetto ai vaccini Pfizer e Moderna, infatti, richiede un’unica dose e può essere conservato in un normale frigorifero. La facilità di somministrazione può rivelarsi decisiva nell’efficacia di una campagna vaccinale. Consentirebbe di coinvolgere anche i medici di base nelle vaccinazioni, raggiungendo un maggior numero di persone in un tempo più breve. Al fine di proteggere la popolazione, la facilità di somministrazione può persino compensare una minore efficacia, come insegna il caso della poliomelite: per la sua eradicazione fu decisivo il vaccino sviluppato da Albert Sabin, meno efficace ma più facile da somministrare rispetto a quello ideato da Jonas Salk.

Il vaccino sviluppato dalla Reithera sfrutta un virus innocuo per l’uomo (un cosiddetto «adenovirus» presente nei gorilla) per portare nelle cellule il codice genetico dell’antigene del Sars-CoV-2, inducendo nelle cellule lo sviluppo di anticorpi in grado di frenare la malattia. Un procedimento analogo a quello utilizzato dal vaccino prodotto dalla AstraZeneca e dal vaccino russo Sputnik V, anch’essi basati su adenovirus.

La decisione italiana di realizzare un vaccino pubblico (almeno in parte) coincide con il momento di massima tensione tra i governi europei e le aziende che dovrebbero fornire i vaccini già approvati, e che in diversi casi, Pfizer e AstraZeneca in testa, stanno riducendo le forniture rispetto a quanto pattuito. L’Italia imiterà quanto già fatto dalla Germania, che ha investito quasi un miliardo di euro nello sviluppo di tre vaccini nazionali da parte di BioNTech, CureVac (che potrebbe ricevere un’autorizzazione al commercio nelle prossime settimane) e IDT Biologika, il cui vaccino si è rivelato però poco efficace nei primi studi clinici. Anche la Francia ha puntato su un vaccino nazionale attraverso l’Istituto Pasteur di Parigi, in collaborazione con la società statunitense Merck. Ma proprio ieri la collaborazione ha annunciato l’intenzione di abbandonare le ricerche dopo i primi deludenti test sull’uomo.

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