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Inventare riti nuovi contro la magia nera

Inventare riti nuovi contro la magia nera

26 settembre Un concerto di Capossela, un romanzo americano del ventesimo secolo e la necessità proteggersi, oggi più che mai, dall'avanzare di forze oscure

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 settembre 2022

A un certo punto, durante il concerto «Quo Vadis Homine», sullo sfondo delle rovine romane della Villa dei Quintili, Vinicio Capossela propone una canzone ispirata alle lettere di Ariosto dalla Garfagnana (ma chi altro le scrive, canzoni così?).

E ricorda i versi dell’Orlando Furioso in cui si prende atto della nuova arma, «il cavo ferro e il fuoco», che permette di uccidere a distanza, senza toccare il bersaglio, e cambia così irreversibilmente la natura delle guerre – compresa la guerra in atto adesso con le micidiali armi sul fronte dell’invasione russa in Ucraina – e la natura stessa di chi le fa.

In uno dei romanzi più importanti del ventesimo secolo americano, Cerimonia, di Leslie Marmon Silko (1977), un ragazzo Navajo torna sconvolto e depresso dalla guerra nel Pacifico. Provano a guarirlo con i riti tradizionali che curavano i guerrieri che avevano dato la morte in battaglia, ma non funzionano: le guerre dell’uomo bianco sono diverse, si uccide da lontano, senza toccasi, senza vedersi, senza riconoscere le vittima.

Le cerimonie antiche che proteggevano dalla «stregoneria» – la«magia nera» della guerra, del genocidio, della distruzione della terra e degli animali, dell’avvelenamento della pioggia – non servono più.

Lo spiega bene anche Luigi Stiffani, il violinista delle tarantate, alla fine del suo diario: oggi i campi sono talmente avvelenati di chimica e fertilizzanti che anche il ragno della taranta è morto. Siamo ancora avvelenati, ma il veleno è un altro, e non abbiamo più il rituale che serviva a proteggerci.

Cerimonia racconta l’invenzione dei nuovi riti, che integrano le antiche cerimonie con elementi nuovi, e che infine riusciranno a rendere l’equilibrio al giovane reduce. Ma l’ambizione di Leslie Silko è più grande: vuole che il romanzo stesso sia una cerimonia, un rituale nuovo contro le forme nuove della magia nera.

Credo che la stessa cosa sia vera anche per il concerto di Vinicio Capossela. Come Leslie Silko, reincorpora tutti gli elementi della nostra ritualità antica – da Prometeo (a cui dobbiamo il fuoco che alimenta le nuove armi) a Moby Dick, da Sant’Antonio a Coleridge, dal Cristo del Quo Vadis alle Fosse Ardeatine (tutti e due poco lontani) da lì, e infiniti altri; e, come lei, li frulla in un intreccio imprevedibile e ci aggiunge la magia del blues, del rock, del tango, e i giochi di luci e di fumi di tutti i grandi maghi.

Però, Capossela non si limita a raccontare e descrivere i miti e i riti; piuttosto, allo stesso modo del romanzo di Leslie Silko, il concerto stesso è una cerimonia: una condivisione di vibrazioni come tutti i grandi concerti, ma in questo momento soprattutto un esorcismo («ovunque proteggi») della magia nera che ci aspetta dopo il voto, e che da tempo sta avvelenando la Terra. Perché, come avverte Capossela tornando ad Ariosto, se il senno se n’è volato sulla luna, qui non è rimasta che follia.

Alla fine di Cerimonia, la voce narrante avverte: grazie ai riti reinventati, la stregoneria «è morta per ora, è morta per ora», e lo ripete, cinque volte. Se riusciamo a inventare riti nuovi e praticarli insieme, possiamo mettere un argine alla stregoneria, fermarla – ma non farla scomparire per sempre. La lotta contro la magia nera non finisce mai.

 

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