Visioni

«Invelle», una famiglia nel secolo breve

«Invelle», una famiglia nel secolo breveUn momento di «Invelle»

Al cinema Il primo lungometraggio di Simone Massi, le due guerre mondiali e il terrorismo, la violenza nel tempo

Pubblicato 28 giorni faEdizione del 12 settembre 2024

Presentato lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia nel concorso di Orizzonti, Invelle è il primo lungometraggio di Simone Massi. Dopo aver realizzato numerose animazioni anche per altri registi (ad esempio La strada dei Samouni di Stefano Savona), il cinquantaquattrenne disegnatore di Pergola si è cimentato con una storia che genera (e contiene) altre storie, lungo il corso del tempo, tra lutti personali, come la morte improvvisa di una madre, e catastrofi collettive come sono le guerre.

UNA BAMBINA di nome Zelinda, con un velo rosso in testa, una delle poche concessioni a un bianco e nero dominante che esalta la forza evocativa del disegno, cerca i genitori che non ci sono più, chi in cielo chi al fronte. Nella campagna lontana da tutto, si sentono gli effetti della Spagnola e della Prima Guerra Mondiale. La malattia e le trincee, dunque, quasi che per raccontare il Novecento si debba necessariamente passare per la negazione della vita.
Per una guerra che finisce, portandosi dietro conseguenze dalle quali è impossibile prendere congedo, altre sono pronte a iniziare. Il rosso ora si è espanso. È il sangue che l’umanità, compresa quella che appare esente dai grandi movimenti tellurici, fa scorrere o che si vede colare addosso come un incubo senza fine.

Da Zelinda si passa ad Assunta, bambina durante l’armistizio, la fuga del re codardo e l’occupazione nazista. Altri lutti e corpi mandati al macello per la follia che pervade l’uomo non solo nei campi di battaglia, bensì nelle terre, con i padroni che sfruttano, i delatori fascisti che tradiscono e le scuole che vorrebbero indottrinare massacrando le mani dei giovani studenti, di quelli che prima o poi vorrebbero emanciparsi da tutto questo orrore.

Diviso in tre capitoli, dai due conflitti mondiali, Massi salta all’epoca del terrorismo e della lotta armata, dalle bombe nelle piazze al rapimento di Aldo Moro. E nella discendenza, dopo Zelinda e Assunta, tocca a Icaro immaginare quello che è là fuori, vicino e contemporaneamente invisibile dai campi e dalle finestre di casa. Stragisti e brigatisti, in quel «non-luogo» (invelle, appunto, in dialetto), occupano i notiziari delle radio e delle televisioni. I contadini, però, devono vedersela ancora con i proprietari e con la loro brutale arroganza. È giunto forse il momento di abbandonare quell’ostinata volontà di resistere. È arrivata l’ora di spostarsi in un altrove che continuerà a essere «non-luogo», con le violenze e le sopraffazioni di sempre.

PER LE RIFLESSIONI politiche che provoca e per quella narrazione che segue una famiglia di generazione in generazione, viene spontaneo pensare a Novecento di Bernardo Bertolucci e a Heimat di Edgar Reitz. Paragoni impropri, ovviamente, per le dimensioni e le ambizioni dei titoli citati. Invelle con i suoi balzi da un’epoca all’altra, cerca il suo respiro più in quello che lascia pensare che nello sviluppo delle singole vicende. Zelinda, Assunta e Icaro rimandano a quelle piccole ed essenziali lotte che spesso tendiamo a dimenticare ma che, non per questo, sono estranee allo sfondo della cosiddetta grande storia.
Le voci di Marco Baliani, Ascanio Celestini, Mimmo Cuticchio, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Giovanna Marini, Toni Servillo e Filippo Timi trasportano lo spettatore in un passato che abbiamo messo alle spalle, forse per errore, per presunzione, per cieco disinteresse, per ignoranza, perché nel nostro presente non sono semplici fantasmi ad agitarsi e a tormentarci.

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