Intesa Sanpaolo, basta investimenti sul carbone
Nei giorni scorsi abbiamo inviato una lettera, scritta insieme a Re:Common, ai vertici di Intesa Sanpaolo per chiedere all’istituto bancario italiano di chiudere tutti i propri finanziamenti collegati ai combustibili […]
Nei giorni scorsi abbiamo inviato una lettera, scritta insieme a Re:Common, ai vertici di Intesa Sanpaolo per chiedere all’istituto bancario italiano di chiudere tutti i propri finanziamenti collegati ai combustibili […]
Nei giorni scorsi abbiamo inviato una lettera, scritta insieme a Re:Common, ai vertici di Intesa Sanpaolo per chiedere all’istituto bancario italiano di chiudere tutti i propri finanziamenti collegati ai combustibili fossili: carbone, petrolio e gas.
Nella lettera – indirizzata a Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina (rispettivamente Presidente del Cda e Aa della banca) – chiediamo prima di tutto di cancellare immediatamente il finanziamento di 77 milioni di euro concesso all’azienda indiana Adani, cui è stato autorizzato dal governo australiano il devastante progetto di sfruttamento del giacimento minerario del bacino carbonifero del Galilee Basin, nel Queensland australiano. Lo stesso progetto che, già nel 2013, era incluso tra le «bombe climatiche» più pericolose menzionate nel nostro rapporto Point of no return.
Solo pochi giorni fa Intesa Sanpaolo ha annunciato un fondo di 50 miliardi di euro per investimenti verdi, presentandosi come paladina del Green deal europeo. Ma le ricerche finanziarie di Urgewald e Re:Common, basate sulla Global Coal Exit List, rivelano come l’istituto bancario italiano sia il decimo prestatore al mondo per progetti e società che promuovono l’espansione del carbone: nel complesso, tra il 2017 e il 2019 – quando la Comunità Internazionale avrebbe dovuto impegnarsi a rispettare l’Accordo di Parigi sul Clima e mantenere l’aumento medio di temperatura entro 1,5 gradi – Intesa Sanpaolo ha elargito prestiti per 2,6 miliardi di euro ad aziende legate al carbone.
Tra i finanziamenti più sporchi di Intesa Sanpaolo c’è appunto quello ad Adani,in Australia, che rischia di distruggere un ecosistema unico come la barriera corallina.
Tra l’altro, Intesa Sanpaolo è anche tra i finanziatori del contestatissimo progetto dell’oleodotto Dapl che passa sulle riserve degli indiani Sioux, prima bloccato da Obama e poi autorizzato da Trump.
Insieme a Re:Common chiediamo a Intesa Sanpaolo di fare la sua parte nel distanziarsi velocemente dalle aziende che continuano a devastare il nostro Pianeta e a mettere a rischio il nostro futuro.
Le immagini degli incendi australiani cui assistiamo ormai da settimane, che seguono simili devastazioni avvenute nei mesi scorsi in Siberia, Amazzonia e California, sono tutti segnali che ci confermano le peggiori previsioni sugli impatti dell’emergenza climatica.
Anche il mondo della finanza è responsabile di quanto sta accadendo al clima e al nostro Pianeta, come dimostra It’s the Finance Sector, stupid, rapporto pubblicato durante lo scorso meeting di Davos da Greenpeace International.
Un rapporto che svela il cinismo e l’ipocrisia della grande finanza che, con una mano spande briciole per interventi per la sostenibilità, mentre con l’altra finanzia progetti devastanti e pericolosi. Ci chiediamo se è questo il gioco a cui sta giocando oggi anche Intesa Sanpaolo.
* responsabile campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia
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