Cultura

Intermittenti oltre la linea del colore

Intermittenti oltre la linea del coloreI bite America and America bites me, dell’artista Oleg kulik. Immagine tratta da Art Now (Taschen)

Tempi presenti «Navigando a vista», una rigorosa inchiesta nel nord-est che alterna l’elaborazione di una rilevante mole di dati a interviste in profondità aiuta a comprendere il funzionamento delle «sliding door» tra occupazione e disoccupazione non solo per il lavoro dei migranti

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 6 febbraio 2014

Il volume collettaneo Navigando a vista, Migranti nella crisi economica tra lavoro e disoccupazione, curato da Devi Sacchetto e Francesca Alice Vianello (Franco Angeli, euro 23), apre una salutare breccia nella narrazione della crisi, mostrandone fratture, differenze e specificità, in un momento nel quale pare diffondersi un’immagine indifferenziata dei soggetti che ne sono colpiti. La ricerca si basa su un ampio apparato statistico e un lavoro sul campo che ha portato gli autori dei saggi inclusi a svolgere 170 interviste in profondità e oltre quattrocento interviste telefoniche tra i disoccupati e le disoccupate di origine marocchina e rumena iscritti ai centri per l’impiego di due comuni veneti, Camposampiero (Pd) e Montebelluna (Tv). Pur dedicando un’attenzione specifica al contesto d’indagine nella regione Veneto (Bruno Anastasia, Maurizio Gambuzza e Maurizio Rasera), i risultati della ricerca sono presentati tenendo ben presente la dimensione globale e transnazionale che investe il mondo del lavoro.

Una particolare attenzione è stata dunque dedicata alla ricostruzione delle esperienze lavorative precedenti alla migrazione (Vanessa Azzeruoli), allo scenario macroeconomico, alle diverse esperienze soggettive e famigliari e alle diverse «occupazioni» dei disoccupati. Questo sguardo aperto ha consentito agli autori di segnalare alcune dinamiche la cui validità va certamente oltre i territori presi in considerazione.

I lavoratori migranti si devono confrontare con una discriminazione materiale che li spinge a occupare settori e qualifiche con salari più bassi e condizioni concrete di lavoro peggiori. Una situazione ancora peggiore per le donne migranti, la cui presenza in segmenti occupazionali scarsamente qualificati è di ben nove volte superiore a quella delle italiane (dati Istat 2013). Contrariamente all’idea diffusa che vi sia un nesso diretto tra regolarità e occupazione, inoltre, le esperienze dei migranti analizzate nel testo rivelano come l’irregolarità sia una condizione spesso attraversata dai lavoratori e dalle lavoratrici migranti, che non li esclude dal mercato del lavoro, ma li rende occupabili a determinate condizioni. Queste considerazioni, da sole, dovrebbero mettere al riparo dalla tentazione di considerare superata la separazione tra migranti e italiani. Al tempo stesso, dalla particolare angolatura del lavoro migrante emerge un quadro stratificato del mondo del lavoro dal quale è possibile trarre alcune indicazioni di carattere generale.

Disponibili a tutto

La condizione vissuta dai lavoratori migranti mostra, infatti, una «divaricazione» tra le forme di lavoro irregolare e l’istituzionalizzazione del mercato del lavoro. Più che una frattura binaria, tuttavia, ciò che si profila è una generale frammentazione di condizioni che ha il suo corrispettivo formale in una generale «moltiplicazione contrattuale e normativa». L’abbassamento complessivo dei salari e delle capacità di contrattazione collettiva si traduce nell’allargamento sempre maggiore della fascia dei working poor, nella quale i migranti hanno una possibilità maggiore di ricadere. A ciò si accompagna una sconnessione tra l’erogazione di lavoro e l’acquisizione di diritti che si esprime anche nella riduzione dei servizi di welfare. I lavoratori migranti presi in considerazione costituiscono dunque un campione specifico e tuttavia rappresentativo di una condizione ormai diffusa, quella di lavoratori precari e poveri che, nella crisi, sono costretti a «navigare a vista», abbassando le loro aspettative e rendendosi disponibili a svolgere mansioni scarsamente qualificate e da prendere al volo, senza essere troppo choosy e senza necessariamente rientrare dalla disoccupazione. Essere statisticamente disoccupati, come mostra il contributo di Graziano Merotto, non equivale infatti al non avere occupazioni, ma s’inserisce all’interno di questa generale trasformazione. Le forme istituzionalizzate per la ricerca del lavoro, come i centri dell’impiego, finiscono invece per rivelare la centralità ormai assunta dalle agenzie interinali verso un’occupazione generica, scarsamente qualificata e, soprattutto, di breve durata (Devi Sacchetto).

L’arte del mosaico

In questo quadro generale, uno dei nodi più interessanti sui quali il volume fornisce utili elementi di riflessione è quello del rapporto tra mobilità e crisi. Nell’introduzione si afferma ad esempio come la circolarità delle migrazioni, che tanto spazio occupa nelle politiche dell’Ue e delle agenzie internazionali, paia rallentata dalla crisi.

Il volume, grazie all’attenzione riservata alle strategie di vita messe in campo dai migranti e alle loro motivazioni, mette in luce almeno due tendenze in apparente contrasto tra loro: da un lato, la crisi che si abbatte con particolare forza sui migranti agisce come fattore di sospensione della mobilità, creando una zona di attesa funzionale alla ricollocazione di questi lavoratori in mansioni ancora meno qualificate, o al loro ingresso in una crescente economia informale (Marco Semenzin). Dall’altro lato, queste stesse tendenze indicano anche la forza delle strategie soggettive messe in campo dai migranti per restare là dove hanno scelto di costruirsi una vita differente rispetto alla fase precedente la migrazione o a precedenti esperienze migratorie.

I migranti intervistati mettono in campo una vera e propria «arte del mosaico» i cui tasselli sono pezzi di welfare che dipendono sia dall’accesso a servizi formali, sempre più limitati, sia dalla capacità di mobilitare reti di solidarietà come la famiglia allargata, le associazioni intermedie e i circuiti amicali (Francesca Alice Vianello). L’impoverimento costringe spesso a rafforzare i legami con le comunità, con esiti contraddittori, accettare lavori di ogni tipo e a risparmiare sui consumi di base, incluso il riscaldamento domestico. Queste strategie non possono tuttavia mettere al riparo i disoccupati, e soprattutto le disoccupate, migranti dal rischio di una cronicizzazione della povertà, i cui effetti si ripercuotono anche sulle nuove generazioni, che devono convivere con il marchio della disuguaglianza.

Il testo prende in considerazione due comunità di migranti differenti dal punto di vista dello status giuridico, del colore della pelle e della religione, come i rumeni e i marocchini. Sia dal punto di vista delle condizioni di partenza, sia per l’accesso a reti di salvataggio da attivare nell’emergenza, emergono differenze notevoli, che non permettono una lettura univoca. Nel complesso, infatti, i marocchini paiono poter ricorrere a un capitale sociale maggiore, frutto anche di una migrazione di più lunga data, anche quando si trovano in situazioni peggiori.

Le reti sociali cui possono accedere i rumeni sono invece meno sviluppate, ma il loro rapporto con il mercato del lavoro, anche grazie a contatti più diretti con gli italiani, appare più dinamico. Ciò che emerge nel complesso è un intreccio di motivazioni e possibilità che prende in considerazione diversi fattori: dalle prospettive di vita in Italia, alla valutazione di paesi alternativi per compiere nuovi spostamenti, all’impatto che assume l’immagine del paese di provenienza, che rimane come costante riferimento. Anche da questo punto di vista, per rumeni e marocchini la percezione è differente: se per i primi, infatti, appare scontata la situazione negativa della Romania, ai margini dell’Europa, tra i marocchini è crescente la sensazione che il Marocco stia cambiando e possa offrire oggi nuove opportunità. Queste valutazioni, tuttavia, non implicano scelte scontate: il ritorno è, infatti, immaginato, possibile, ma poco praticato.

Oltre a confermare l’inconsistenza di un’intepretazione di tipo idraulico delle migrazioni, che continua a produrre effetti politicamente nefasti anche fuori dai think-thank della governance globale, l’interconnessione tra questa dinamica di frammentazione imposta del proprio tempo di vita, e le pratiche soggettive per affermare la propria posizione é senza dubbio un elemento che esula dai casi specifici trattati del volume e non è caratteristica esclusiva dei cicli di crisi economica.

 

Senza confini

Più che a una crisi della migrazione, questa dinamica ci parla di una tendenza diffusa alla frammentazione non solo degli spazi e degli status istituzionalmente prodotti, ma anche dei tempi e della loro agibilità, che attraversa il lavoro contemporaneo facendone un terreno differenziato di lotta. Insomma, non siamo tutti sulla stessa barca, suggeriscono i saggi di questo testo. Al tempo stesso, il volume mostra come i migranti non siano sempre e solamente uomini e donne che si affacciano per la prima volta ai confini dell’Italia e dell’Europa, ma siano un elemento imprescindibile della società nel suo complesso.

L’impatto della crisi mostra questa realtà, soprattutto in un territorio ricco di contraddizioni come il Veneto. Evitare passi indietro verso visioni semplicistiche che, con il giusto obiettivo di riportare i confini al centro del dibattito, rischiano di espellere chi quei confini continua ad attraversarli quotidianamente navigando a vista, è oggi un elemento politicamente irrinunciabile per districarsi nel labirinto della precarizzazione.

 

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