Tra le dimensioni espressive dell’essere umano un posto non secondario riguarda la cura, quella proiezione affettiva che sta alla base dei comportamenti genitoriali e che rappresenta il portato più significativo del nostro essere mammiferi e soprattutto primati. Quando parliamo di animalità di solito commettiamo l’errore di considerarla una dimensione controlaterale all’umano o al più di comune appartenenza. In realtà l’animalità è una condizione che presenta diverse declinazioni a partire da radici comuni, per cui gli animali (esseri umani compresi) presentano tra loro gradienti di somiglianza e diversità, cioè dimensioni predicative di appartenenza.

L’ESSERE MAMMIFERO significa porre la cura come fondamento ontico, perché questa tipologia di animali hanno puntato tutta la loro strategia adattativa sull’accudimento e quindi sulla proiezione verso i bisogni espressi da una controparte. Tra i mammiferi, poi, questo ha visto un’enfatizzazione tra i primati, perché hanno allungato l’età evolutiva rispetto alla durata della vita media. La pelle in questi animali non è semplicemente un involucro che contiene il corpo, ma diviene una soglia di relazioni condivisive, attraverso la carezza, l’abbraccio, il porgere la mano, il grooming.
La dimensione epimeletica – dal greco epimeleomai, mi prendo cura – è il fondamento affettivo di un mammifero, capace di trascendere persino la dimensione parentale ed essere cooptato in attività di affiliazione, amicizia, prosocialità e persino di altruismo. La proiezione epimeletica verso il mondo diventa una direttrice desiderante, vale a dire un atteggiamento che non solo rientra in una perimetrazione prosociale o addirittura morale, ma produce soddisfazione in chi la mette in atto, attraverso meccanismi retroattivi che hanno una base fisiologica in neuromodulatori come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina. In altre parole, prendersi cura di qualcuno significa ricevere dei contributi di gratificazione e appagamento che danno benessere anche al caregiver. Accarezzare è tra le attività che stimolano la produzione di endorfine e la vicinanza affettiva è in grado di rilasciare endocannabinoidi, a dimostrazione del forte bisogno di contatto che caratterizza la nostra specifica declinazione animale.

NELLA NOSTRA NATURA non alberga solo il sociobiologico regime dell’egoismo – oggi pretestuosamente enfatizzato dall’ideologia dell’autonomia e dell’edonismo consumista – perché abbiamo bisogno di relazioni e costruiamo la nostra dimensione esistenziale attraverso le relazioni. Non è possibile trovare un senso alla propria esistenza fondandola in modo solipsistico su se stessi, ma attraverso quella fenomenologia della donazione che rientra nella prospettiva dell’epimelesi, cioè del prendersi cura del mondo. Comprendere l’essere mammifero vuol dire recuperare un orizzonte d’intelligenza affettiva, oggi purtroppo un po’ negletta dalla visione elaborativa della cognizione.

ANCHE I NOSTRI VALORI e le preoccupazioni che informano soprattutto quella proattività etica che chiamiamo moralità allargata, non possono fare a meno di una base affettiva, cioè non possono sostenersi esclusivamente sulla ragione. Per questo oggi più che mai è necessaria una nuova educazione sentimentale, capace di contrastare quelle tendenze solipsistiche che promettono la felicità nell’autosufficienza e nell’emancipazione dalle relazioni quando, al contrario, sono fonte di sofferenza e perdita di senso. In questo senso, la proiezione epimeletica va oltre la dimensione parentale per diventare, come già rimarcato da Martin Heidegger, un fondamento ontologico. La cura è pervasiva nelle nostre relazioni, a qualunque titolo appartengano, e si sviluppa in moltissime aree dell’attività umana, come la diligenza nel lavoro e nelle occupazioni quotidiane, la medicina e l’assistenza, l’agricoltura e la domesticazione animale.

LA CURA è un prendere contatto, potremmo dire un accarezzare metaforicamente tutto ciò che ci circonda, proiettando il sé in una dimensione transindividuale. La cura ha sulla pelle e soprattutto sul palmo delle mani il suo centro gravitazionale, per questo trasforma il significato stesso del nostro involucro epidermico – da vestito che contiene a medium che mette in relazione – trasformandolo in una soglia di accoglienza.
In un periodo dominato da fantasie disincarnate, di immersioni nel virtuale, di sogni postorganici, ritrovare il senso di un’intelligenza affettiva declinata sulla pelle è forse il modo per rinnovare un contatto col mondo.

 

SCHEDA

Torino Spiritualità si affida alla «pelle»

«Una carezza sul mondo: gli umani, gli animali, la cura» è il titolo della conferenza che Roberto Marchesini terrà sabato 1 ottobre (ore 18.30, presso il Museo del Risorgimento, Aula della Camera), all’interno del festival «Torino Spiritualità». Il centro di gravità della XVIII edizione (dal 29 settembre al 2 ottobre) in luoghi di incontro e culto, spazi museali, della cultura e dello spettacolo del capoluogo piemontese, è la «pelle», frontiera estrema tra noi e il mondo, superficie dove la vita scorre, entra in conflitto e produce incontri. Fra gli ospiti, Orhan Pamuk, Frank Westerman, Jan Brokken, Oliviero Toscani, Cecilia Strada, Gherardo Colombo, Marco Aime, Lilian Thuram, Svamini Hamsananda Giri.