Il libro comincia con una asserzione tagliente, un chiasmo che è la massima figura di incrocio, e in questo caso un chiasmo d’ordine sia letterario sia etico-politico: «Aveva torto e non avevo ragione», sono le parole con cui Franco Fortini apre Attraverso Pasolini (Quodlibet, «Saggi», pp. 284, euro 20) che torna nella cura di Vittorio Celotto e Bernardo De Luca a trent’anni dalla prima uscita.

Il tempo non soltanto ne ha lasciata intatta la natura di palinsesto intellettuale ma ne ha accentuato in retrospettiva il carattere paradigmatico opponendo i due interlocutori quali, dicevano i greci, dissòi lògoi ovvero discorsi contrapposti, gli stessi che a Roma nel circolo neoterico prendevano il nome di discidium: non sono molti nel secolo gli esempi di una simile incandescenza se non quella che oppose una volta per sempre Paul Claudel, cattolico dai globuli rossi, ad André Gide, luterano di implacabile corrosività, tali che l’uno divenne emblema di dogmatismo e dedizione eroica ad una fede mentre l’altro ebbe fama di nemico giurato delle istituzioni e campione di una libertà molto prossima alla licenza, come attesta il Carteggio 1899-1926, sezione aurea della disputa novecentesca fra intellettuali che Garzanti purtroppo non ristampa da mezzo secolo.

Franco Fortini, Getty Images

L’amicizia e la contesa tra Fortini e Pasolini ebbero un decorso meno lineare e un esito meno schematico. Intanto va tenuto presente il fatto che Pasolini (la cui esistenza è sempre sovraesposta, costantemente en situation) non tiene diari ed è un mediocre epistolografo, a parte gli anni giovanili trascorsi fra Bologna e Casarsa, perciò la vicenda resta tutta deducibile dalla parte di Fortini, scrittore straordinario di lettere e di appunti che via via prendono forma di saggi.

SI AGGIUNGA che Fortini tratta in maniera organica come recensore fin dal dopoguerra l’opera di Pasolini (i primi testi con cui viene a contatto sono l’antologia Canzoniere italiano, del ’55, e le folgoranti poesie in friulano de La meglio gioventù, ’54) mentre Pasolini lo fa in modi più frammentari e desultori che tuttavia non smentiscono mai quanto gli scrive in una lettera del 31 dicembre ’61 definendolo «l’ideale destinatario» delle sue scritture. (E non è certo l’unico a percepirne la presenza elettiva, e anzi esclusiva, perché altrettanto potrebbero dire, fra non pochi altri, Vittorio Sereni, Italo Calvino e Giorgio Bassani).

De Luca così interpreta la struttura tripartita del volume: «La ripartizione mima un canzoniere: alle due sezioni di saggi e versi in vita (I) e in morte (III) fa da cerniera l’intenso scambio di lettere intrattenuto per poco più di un decennio (II)» e qui si aggiunga che il decennio dello scambio epistolare va dal ’54 al ’66, in prossimità della rottura che avviene alla fine di maggio del ’68 quando Pasolini pubblica su L’Espresso il celebre libello in versi contro gli studenti, Il Pci ai giovani !! Fortini si sottrae al dibattito organizzato nella sede del settimanale ma dopo avere raggiunto l’amico a Roma gli legge in faccia un testo durissimo, che comincia con una vera e propria esecuzione: «Questo articolo della Pravda scritto da Amendola e firmato da Pasolini non mi ha stupito. Nel corso degli ultimi dieci anni non mi ero fatte troppe illusioni sulla tua capacità di intendimento politico. Per te la lotta di classe è sempre stata soltanto la lotta dei poveri contro i ricchi»: lo accusa insomma di anacronismo, di non sapere né volere intendere nulla del proletariato industriale e delle lotte in corso al Nord, di essersi imbozzolato nel giro dei cinematografari romani e delle riviste letterarie tradizionali come di ignorare, ovvero disdegnare, i fogli militanti dai Quaderni rossi di Raniero Panzieri ai Quaderni piacentini.

IN ALTRI TERMINI imputa all’intellettuale Pasolini di non saper aderire fino in fondo né a un discorso religioso, sostenuto dalla metafisica delle cose ultime, né a un discorso politico, cioè fondato sulla concretezza dei rapporti di classe. Ma quanto sta togliendo ad un intellettuale che pure taccia di misticismo decadente (ricevendone in cambio l’aggettivo di inveterato moralista), egli sa restituirlo alla grandezza del poeta che è stato fra i primi a riconoscere, con l’ossimoro o «sineciosi», nella figura originaria di una «antitesi senza dialettica», di un désir d’invariance tanto più asfissiante e angoscioso quanto più cifrato nei tumulti di uno sperimentalismo ribadito a oltranza.

L’alta considerazione che Fortini ha della poesia del suo amico cresce con il tempo e infatti si dispiega nella terza parte di Attraverso Pasolini che raccoglie e commenta pagine scritte dopo il ’75, persuase a contestare il culto ormai ecumenico di colui che scrisse Le ceneri di Gramsci ma sempre tese ad avvalorare nei versi quel combinato disposto, irripetibile, di «elegia e bruciante disperazione». (Peccato sia stata esclusa dal volume la stupenda voce monografica che Fortini scrisse per l’Enciclopedia Europea di Garzanti – 1979, vol. 8 – dove scommette in particolare sull’ultima risorgiva poetica, la funebre palinodia dei versi giovanili in friulano, La nuova gioventù, scritta «per oltraggiare la propria medesima giovinezza, nella contemplazione inorridita d’una verità del mondo ormai spenta e sfregiata dalla barbarie consumistica»).

SE INFATTI COGLIAMO oggi qualcosa di sfuocato nell’analisi è relativamente a Scritti corsari e Lettere luterane che Fortini liquida nel rimpianto del mondo agricolo e pastorale senza cogliere la pregnanza di metafore come Omologazione, Genocidio, Universo Orrendo: perché è probabile che Pasolini non abbia letto Adorno e Marcuse (e di questo lo rimprovera l’amico) però è certo che le sue immagini, una volta liberate dalla nostalgia individuale, sanno cogliere con vividezza proprio quello che i Francofortesi avevano detto «il mondo amministrato del neocapitalismo».

FORTINI, SE PURE LEGGE nel profondo Petrolio, mostruoso scartafaccio postumo dove si combinano gelo refertuale e fuoco della profezia, appare irresoluto riguardo al film Salò che prima afferma di non avere visto né di voler vedere ma da ultimo annovera tra i capolavori (da salvare nell’antologia pasoliniana che si è sempre augurato di fronte a quella sconfinata costellazione testuale) senza spiegare il motivo della ritrattazione.

È probabile, o almeno ipotizzabile, che proprio l’atrocità di Salò, sublime nella sua abiezione, facesse vere alla lettera le parole che aveva dedicato al suo amico ricordandolo nel 1984: «Lo si visita per sapere come è finita, quale era l’immagine menzognera del nostro paese, del mondo intero, della poesia e dei nostri doveri che fin troppo a lungo, con Pasolini, abbiamo trascinato insieme alle nostre esistenze».

Casarsa, «Nel segno della contraddizione»

Si intitola «Nel segno della contraddizione. Pasolini e Fortini due poeti del Novecento», a cura di Paolo Desogus, il seminario annuale organizzato dal Centro Studi ’Pier Paolo Pasolini’ di Casarsa. Il programma si apre venerdì 3 novembre (ore 15.30) con le relazioni di Luca Lenzini, «L’anno 1975»; Gilda Policastro, «Fra Pasolini e Sanguineti era Pasolini ad aver ragione?»; Elena Arnone, «Sul carteggio Pasolini-Fortini»; Davide Dalmas, «Giona e l’usignolo»; Gabriele Zanello, «Riflessione teorica e prassi di traduzione»; Andrea Agliozzo, «La mia prigione vede più della tua libertà»; Luca Mozzachiodi, «Terzo mondo, rivoluzione, valori» e prosegue sabato 4 novembre (ore 9.00) con Marco Gatto, «Insistenze e disobbedienze»; Marianna Marrucci, «Al tavolo di famiglia»; Gian Luca Piccioni, «Attraverso ‘Officina’» per concludersi nella tavola rotonda con Paolo Desogus, Goffredo Fofi, Alessandro Gnocchi, Filippo La Porta, Massimo Raffaeli. info@centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it tel (+39) 0434 870593.