Intellettuale organico ed egemonia
Il colonnino infame Sgarbi come Vittorini. No, scherzo
Il colonnino infame Sgarbi come Vittorini. No, scherzo
Per sviluppare una riflessione critica sul complesso rapporto tra indipendenza e autonomia intellettuale e affiliazione politica e partitica nel 2023, è utile prendere a modello paradigmatico il celebre dibattito tra Vittorini e Togliatti maturato sulle pagine del «Politecnico» nel 1946. «Il Politecnico» (come il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ben sa) venne inizialmente patrocinato da Togliatti all’interno di una strategia post-bellica che prevedeva la cooptazione nel raggio d’azione del PCI di intellettuali antifascisti e l’allargamento della propria egemonia ideologica attraverso un lavoro di propaganda da svolgersi sui giornali e sulle riviste vicine al partito.
Ed è proprio sulle pagine di questo storico periodico che si consumò la contraddizione insolubile tra gli indirizzi da seguire dettati dal Partito -che non poteva permettersi all’interno del proprio campo di influenza alcun esercizio di dubbio speculativo e/o indipendenza culturale- e il ruolo dell’intellettuale marxista interpretato da Vittorini, che per non poteva (o non voleva?) non approfondire, non problematizzare, non analizzare in piena autonomia. Il Pci riteneva infatti che il compito dell’intellettuale fosse principalmente quello di agire come catalizzatore ideologico e mediatore tra il partito e il popolo, ricavando questa sua nozione vuoi dell’allora vigente «zdanovismo» (l’indirizzo di politica culturale avviato in URSS subito dopo la fine della guerra- per cui non c’è arte se non c’è utilità sociale), vuoi dall’elaborazione «incompiuta» della dottrina gramsciana dell’intellettuale organico. Ebbene: anche oggi con al potere la parte diametralmente opposta, risultano non meno evidenti i limiti di un’applicazione eccessivamente dogmatica del precetto gramsciano dell’intellettuale organico e di egemonia culturale. Non stupisca allora che si consumi analogo strappo da parte di Vittorio Sgarbi che adopra il proscenio del Maxxi per rivendicare pubblicamente la possibilità di esprimersi entro uno spazio d’azione non direttamente ricollegabile a quello politico, né tantomeno ad esso completamente sottomesso: «tira più un pelo di fica che un carro di buoi»; «si lavora e si fatica pe’ la panza e pe’ la fica»; «le donne sono tutte puttane»… affermazioni che solo gli sciocchi bollano come volgari, in realtà estrapolazioni da un manifesto culturale «in fieri» col quale il Sottosegretario alla Cultura s’oppone al modello unico «Dio/Patria/Famiglia» proposto da Fratelli d’Italia. Ponendo in definitiva Vittorio alla Meloni, lo stesso quesito che sotto sotto Vittorini poneva a Togliatti: «siamo uomini o caporali»?
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