Insulti web, agenti penitenziari sospesi
Carcere Il Dap emette 16 misure cautelari e invia il fascicolo alla magistratura per i rilievi penali. Ma dopo le prime condanne dei fatti, i sindacati si ribellano: «Misure illegittime»
Carcere Il Dap emette 16 misure cautelari e invia il fascicolo alla magistratura per i rilievi penali. Ma dopo le prime condanne dei fatti, i sindacati si ribellano: «Misure illegittime»
Condanne e contrizione sono durate giusto il tempo dei salamelecchi. Il capo del Dap, Santi Consolo, aveva appena finito di dire che «la polizia penitenziaria in questo momento è mortificata» per «questi comportamenti gravi ma isolati», e il Guardasigilli Andrea Orlando si era appena congedato con le rappresentanze sindacali, convocate in via Arenula per ringraziarle di aver formalmente stigmatizzato gli insulti cinici e spietati («uno di meno», è il più gentile) scritti su Facebook da alcuni agenti dopo il suicidio del giovane rumeno nel carcere di Opera, a Milano. Ma quando le parole si sono trasformate in fatti e dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria sono partiti i primi 16 provvedimenti cautelari di sospensione nei confronti di altrettanti poliziotti, accompagnati da un corposo rapporto inviato ai magistrati per valutare eventuali rilievi penali (se possa essere contestato il reato di istigazione al suicidio), lo spirito di corpo ha di nuovo prevalso sulla «totale» presa di distanza di qualche ora prima.
«Provvedimenti illegittimi perché assunti con un giudizio sommario», li bolla il segretario dell’Osapp, Leo Beneduci. Una «tempistica» eccessiva, quella del Dap, secondo la Uilpa Penitenziari, tanto da indurre il segretario generale, Eugenio Sarno, a chiedere – in una logica che rivela tutta la patologia del sistema – «nelle prossime ore sanzioni esemplari» anche «nei confronti dei detenuti che si sono resi responsabili di aggressioni in danno dei poliziotti e, soprattutto, nei confronti dei dirigenti generali, dei direttori e dei comandanti che certificatamente hanno violato norme contrattuali e regolamenti, calpestando diritti soggettivi e contribuendo significativamente allo stato comatoso in cui versa il sistema penitenziario italiano».
Certo, c’è di peggio degli insulti verbali. La cronaca racconta, a volte, di torture perpetrate sui detenuti da alcune “mele marce” e, spesso, della violenza strutturale del sistema penitenziario. Tanto per rimanere su Facebook, qui c’è anche chi racconta l’inferno dietro le sbarre, come fa Davide Rosci, un giovane condannato a sei anni per devastazione negli scontri di Roma dell’ottobre 2011 e che ora dai domiciliari a Teramo ricorda le sue esperienze di vita, «come in una tomba», al Mammagialla di Viterbo. «La cella era di 6 mq scarsi sotto uno scantinato buio – scrive Rosci – l’ambiente era sudicio al massimo, lo sporco ovunque, il materasso in spugna puzzava di piscio ed era tutto rotto, il cuscino sempre in spugna mi è stato dato a metà perché bruciato, la porta del bagno non c’era, l’acqua non era potabile e in 5 giorni non me l’hanno detto, i termosifoni non funzionavano e dalle finestre entravano gli spifferi d’aria gelata. Si stava ad una temperatura di 2 gradi». E poi ancora: «Ricordo sui muri il sangue ovunque e le frasi di misericordia, rabbia e preghiere dei poveri cristi che come me avevano avuto la sventura di entrare lì sotto».
Ed è sicuramente un inferno – forse perfino peggiore – anche la vita di chi al carcere è costretto per lavoro, e nemmeno tanto remunerativo. «Ogni giorno si contano in carcere almeno 18 atti di autolesionismo, tre tentati suicidi sventati dagli agenti della polizia penitenziaria, dieci colluttazioni e tre ferimenti», denuncia il segretario del Sappe, Capece. Una realtà che Orlando ha voluto sottolineare nell’incontro con i sindacati (mancava l’Alsippe, la piccola sigla non accreditata presso il ministero, sulla cui pagina Fb sono comparsi gli insulti), ai quali però ha prospettato l’avvio di «corsi di formazione all’uso dei social network». «Non si tratta di limitare la libertà di espressione – ha precisato Orlando – ma gli agenti devono essere consapevoli delle insidie che si nascondono nell’uso di questi mezzi, anche se questi fatti non sono in alcun modo derubricabili a disattenzione».
Sul comportamento dei 16 agenti che il capo del Dap ha sospeso dal servizio, indagherà ora il Consiglio di disciplina che deciderà sulle eventuali sanzioni da comminare (dal richiamo fino al licenziamento). Non tutti i sindacati però si sono schierati contro i provvedimenti di Santi Consolo: la Fp-Cgil dice chiaramente che «questi signori non rappresentano altri se non sé stessi e rivelano disprezzo per il lavoro e per l’importante funzione che svolge la Polizia Penitenziaria». E Il Sappe chiede di «perseguire queste persone e se è del caso, destituirle dal corpo, senza indulgenze».
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