DI RITORNO DALL’AVANA — Oltre la garitta dell’entrata, il viale curva docilmente fra gli alberi. Il baccano degli uccelli tropicali è avvolto nel suono di un trombone che diventa più forte man mano che ci avviciniamo e si mescola con quello di due trombe: tre ragazzi sono in piedi rivolti al gran prato ondulato e praticano le scale musicali sui loro strumenti. Sono studenti della scuola di musica, una delle cinque facoltà dell’Instituto Superior de Arte, l’accademia nazionale d’arte di Cuba.
La scuola è uno dei luoghi più emblematici della moderna storia cubana e dell’architettura mondiale. Il campus occupa il terreno che fu del Havana Country Club, il cui leggendario campo da golf era il migliore dei Caraibi e parco giochi preferito delle élite – così riservato che notoriamente era off-limits perfino a Fulgencio Batista, il dittatore che in quanto mulatto non poteva entrare.
I grandi prati tosati, limitati dalla rigogliosa vegetazione tropicale, trasmettono una sensazione lussureggiante, ma è solo addentrandosi oltre, e scoprendo gli edifici che il luogo assume l’aria di un parco magico. Disposte nel verde in emicicli e complessi simili a templi orientali, spuntano grandi costruzioni circolari come emerse dalle mangrovie giganti. Grandi cupole color mattone sbuffano fra le chiome degli alberi come mongolfiere gonfiate dal vento. L’effetto è quello di una Pompei postmoderna o della valle di Angkor Wat; infatti come quei templi cambogiani gli edifici sono in stato di abbandono – da quasi 50 anni, da quando cioè il progetto architettonico più straordinario ed ambizioso della rivoluzione cubana è stato sospeso a metà dell’opera e consegnato incompiuto alla esuberanza della vegetazione.
Quella che era nata per essere, nelle parole dell stesso Fidel Castro, “la più bella academia d’arte al mondo” oggi rimane come una sorta di parco archeologico involontario, un monumento alla prorompente immaginazione della rivoluzione cubana e ad un suo fallimento. Un luogo che oggi, sull’isola tornata al centro dell’attenzione potrebbe tornare as essere topico.
Oggi studiano qui un migliaio di ragzzi nell’istituto di arti plastiche, l’unica parte completata del progetto che originalmente prevedeva l’istruzione per oltre 6000 studenti. Delle cinque facoltà originalmente progettate infatti, quattro non sono mai state finite e sono rimaste semicompletate nell’oblio per oltre quarant’anni, fin quando, nel 1999 un libro, Revolutions of Forms, le riscopre. L’autore, l’architetto americano John Loomis, ripropone al mondo il progetto ed i suoi suoi architetti: il cubano Ricardo Porro e due italiani, Vittorio Garatti e Roberto Gottardi.
Il libro di Loomis, che ispira un successivo documentario e perfino un opera musicale di Robert Wilson – racconta di come nel gennaio del 1961 Fidel e Che Guevara dopo un paio di buche di golf stessero discutendo proprio nel country club espropriato, come destinare quel luogo simbolo dello sfruttamento dell’oligarchia. L’idea fulminante fu di creare una scuola che esprimesse l’impeto e lo slancio creativo della rivoluzione trionfante, un isitituto di formazione di nuovi Cubani o, come ebbe a ricordare l’ex vicepresidente cubano Carlos Rafael Rodriguez, “un incubatore culturale (…) che diventasse una fonte di futuri artisti, creatori ed interpreti del socialismo di domani”
Il progetto allora viene affidato ai tre giovani architetti che in quegli anni si erano conosciuti in Venezuela, fra i molti intellettuali che a quei tempi convergevano sull’Avana per dare un contributo all’emergente utopia cubana. “Sono arrivato a Cuba nel dovembre del 1960”, ricorda oggi Gottardi dalla sua casa dell’Avana, “per noi la rivoluzione rappresentava la promessa di un taglio, un cambio radicale in tutte le direzioni, nella vita, nella carriera….”. Gottardi aveva studiato a Venezia, la sua città, con Bruno Zevi e Carlo Scarpa. Come Garatti, che proveniva dal politecnico di Milano dove era stato studente con Gae Aulenti, aveva subíto la forte influenza del modernismo antirazionalista articolato da Ernesto Nathan Rogers e dal suo studio BBPR a Milano (e da Domus e Casabella sotto la sua direzione). Ora da poco sbarcati nell’isola ricevevano l’incarico che gli avrebbe permesso di mettere in pratica un organicità che polemizzava col rigore formale del movimento moderno. A Loomis Porro, scomparso nel 2014, lo ricordò come un momento “mas surrealista que socialista – uno di quei momenti comuni ad ogni rivoluzione, in cui il meraviglioso diventa ordinario”
Con l’incoraggiamento dello stesso Fidel i tre si mettono all’opera in una cappella sconsacrata nei pressi del cantiere. Si dividono i compiti e lavorano separatamente alle facoltà assegnate senza progetto unitario ma in una singolare sintonia in cui gli edifici che vanno prendendo forma dialogano oraganicamente adattandosi al sito. Un primo problema è costituito dai materali che cominciano a scarseggiare nell’isola già sottoposta all’embargo americano. La scarsità di cemento ad esempio spinge gli architetti ad adottare la “volta catalana” come struttura preferenziale, una struttura che prevede la disposizione di mattoni con una curvatura molto lieve in modo da ricoprire superfici molto ampie con una ottima distribuzione dei pesi. L’antica tecnica di provenienza mediterranea e nordafricana, impiega mattoni e laterizi e rientra nella ricerca di un linguaggio che evochi un nuovo stile “vernacolare” cubano.
Porro, Garatti e Gottardi lavorano febbrilmente trasportati dall’onda di ottimismo che la rivoluzione porta nell’emsifero. I primi edifici vengono completati ma allo stesso tempo sull’idealismo iniziale della giovane rivoluzione cominciano a prendere il sopravvento considerazionj più prosaiche. Nel 1962 la crisi dei missili evidenzia la realtà geopolitica dell’emisfero, accentuando lo scontro con gli Usa e spingendo Castro verso l’URSS sullo sfondo si una guerra fredda sempre più “calda” in Indocina e in Africa. Sotto il soverchiante assedio americano l’isolamento di Cuba si acuisce e la rivoluzione, come tante altre prima, da i primi segni di una involuzione revisionista. Anche a Cuba l’arte subisce il destino amaro di precedenti avanguardie – dalla Russia a Weimar.
In questo contesto la sperimentazione di Porro, Garatti e Gottardi viene criticata come borghese ed elitista. L’involuzione difensiva della rivoluzione (e l’avvicinamento alla sfera sovietica) coincide con una svolta utilitaria in campo estetico. La familiare parabola si conclude con la cessazione dei lavori. Porro e Garatti verranno in seguito costretti ad espatriare. La scuola continua a funzionare con l’unica facoltà completata e con l’aggiunta di un blocco di dormitori di cemento in stile sovietico – assurdamente incompatibile – costruito nel bel mezzo del complesso.
“Quando ci hanno estromessi nel ‘65”, dice eufemisticamente Gottardi, “sono subentrate persone che non hanno fatto cose belle”. “Ci fanno dormire in questo orribile palazzo che sembra una prigione tedesca”, conferma con diretta cognizione di causa Aciel che è al terzo anno del corso di teatro e che mi fa fare una visita guidata alla sua scuola. “Dato che non hanno finito il progetto manca spazio e alcuni corsi si tengono anche quelli nel casermone”.
Per Aciel e suoi compagni la scuola è simbolo quotidiano che rammenta ciò avrebbe potututo essere e che nonfu… nell’università e nel loro paese. “Vogliamo interenet, cazzo”, esclama Pedro, primo anno di pittura. “Come è possibile oggi imparare senza?! Non vedo l’ora di andarmene,” aggiunge amaro, “dovessi pure fare il mendicante”. I ragazzi chiedono informazioni sul “fuori” con la voracità di chi vi è tenuto lontano.
Qui in questo luogo simbolo dei flussi contrastanti, dei trionfi e degli errori del passato, la frattura generazionale che attraversa l’isola è vieppiù evidente. Non è solo che queste maestose e moderne rovine sono la rappresentazione architettonica delle decadute aspirazioni dell’esperimento socialista dei Caraibi; in un momento forse di nuova transizione la scuola è un promemoria permanente di ciò che sarebbe potuto essere e che non fu.
Abbiamo visitato la scuola nei giorni della visita di Obama. Dopo la sua partenza Fidel ha respinto con caratteristico sagacia e sarcasmo la “carità dell’impero”. La replica ha rincuorato generazioni di simpatizzanti e testimoni dello strapotere americano. Ma qui fra questi ragazzi è evidente che la correttezza storica è meno impellente del desiderio di futuro – non di filoamericanismo da diaspora, non delle battaglie dei padri, ma certo di maggiore ossigeno e slancio simile a quello che ha prodotto questi edifici.
Davanti all’ingresso dell’accademia c’è lo studio di Kcho, il maggiore artista contempoareno di Cuba. Li, da qualche settimana c’è anche un insegna Google. Con la collaborazione del gigante internet, l’artista ha aperto un punto wi-fi libero e gratuito – segno tangibile di potenziali novità ancora nascoste dietro un orizzonte incerto. Intanto si è tornati a parlare di completare le costruzioni incompiute dell’ISA – compresa la scuola di teatro di Gottardi, che da Renzi in visita lo scorso ottobre ha ricevuto assicurazioni su un possibile finanziamento italiano, forse $2 milioni…. “Sto aspettando conferma dall’ambasciatore,” dice l’architetto che è pronto a riprendere un idillio da troppo interrotto. “Io sono un ottimista – anche se avrei buone ragioni per non esserlo. Vorrei terminare quegli edifici, come come due innamorati che si ritrovano e dopo 50 anni si dicono tutto ciò che avevano taciuto.”