Visioni

Instabile, schegge di note in nome dell’avanguardia

Parco della musica Contemporanea ensemble foto di Marco Iacobucci per ArteScienza.Parco della musica Contemporanea ensemble – foto di Marco Iacobucci per ArteScienza.

Contemporanea Le relazioni tra musica, tecnologia e video nelle giornate del festival ArteScienza

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

Alla ricerca della musica nuova, ma nuova veramente. La mania di questo giornale. Una chance è offerta a Roma dalle due serate di chiusura del Festival ArteScienza 2023 che promette molto con un titolo come Instabile e un sottotitolo come Espansione e mutamento creativo. La rassegna ideata da Laura Bianchini e Michelangelo Lupone mette in luce, come sempre da molti anni, le relazioni tra musica e tecnologia, tra musica e videoarte. Nella serata del 14 settembre al Goethe Institut c’è un tema: il pianoforte e l’elettronica. Un pianista eccelso, Ciro Longobardi, si misura con musiche in gran parte inedite di autori che fanno riferimento alla «scuola» di Agostino Di Scipio, compositore e teorico delle tecnologie sonore, e con musiche dello stesso Di Scipio.

UNA VARIANTE al tema, cioè uno sguardo su un nome dell’avanguardia storica, è costituita da un brano del 1974 di Giacinto Scelsi, Aitsi. Variante per modo di dire perché il pezzo, scritto in origine «per pianoforte amplificato» – dizione del tutto non vincolante e aperta alle applicazioni tecnologiche – è qui presentato in una versione che prevede Longobardi al piano e Di Scipio al live electronics. È la prima delusione. Longobardi dà una forza specialissima alla successione di note e accordi dissonanti che appaiono come «monadi» durante il brano. Ad ogni «monade», suonata con gusto percussivo penetrante da Longobardi, con lucida violenza, fa eco una scia di suoni sintetici di dubbio gusto soundtrack. Concezione didascalica piatta, elettronica vecchia, Scelsi buttato via.

Il pianista Ciro Longobardi si misura con lavori che si ispirano a Di Scipio

Tra gli «allievi» di Di Scipio si fa amare Gabriele Boccio in Contigue reiterazioni (di corpi, di gesti, di spazi…), brano che si direbbe quasi in stile glitch con quel pianoforte tipo prepared di Cage e i suoni che circolano come pulviscolo di leggerezza e di inquietudine. Un capitolo a sé e riflessioni molto scettiche meriterebbero i titoli delle opere di questa «scuola». Approssimazione ai punti disomogenei di relazionalità si chiama il brano di Pierpaolo Barbiero, quasi musica descrittiva con sipari di suoni sintetici avvolgenti e tante note ribattute sul piano ovattato. Musica per paesaggi di un documentario di Raitre sembra quella di Federico Martusciello in Dalla natura polisemica.

E IL MAESTRO? Si ascoltano due lavori di Di Scipio, uno del 1996, 6 studi (dalla muta distesa delle cose…), e uno nuovissimo, Settimo studio (dalle brume… l’evidenza…). Le note pianistiche ribattute sono una modalità a cui queste scritture ritornano. Il secondo brano, che inizia quasi debussiano, impiega l’elettronica con lievissimi tocchi e crea un bel clima trasognato. Longobardi sempre maiuscolo. Un vero eroe in una serata difficile.
L’ultimo concerto del Festival si fa all’Auditorium con il Pmce, Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretto come sempre da Tonino Battista. L’Ensemble ha ormai una sua storia apprezzabile. Ha organici variabili. In questa occasione sono della partita Manuel Zurria ai flauti, Paolo Ravaglia ai clarinetti, Francesco Peverini al violino, Luca Sanzò alla viola, Anna Armatys al violoncello, Flavio Tanzi alle percussioni, Jacopo Petrucci al pianoforte, Tommaso Cancellieri alla regia del suono. Giusto nominare questi eccellenti strumentisti. Perché rappresentano il pochissimo della civiltà musicale a Roma, se per civiltà si intende desiderio di trasformazione del reale.

Katharina Roth si dedica a sonorità ed effetti stregoneschi in «Snake Charmer»

TRE COMPOSITRICI della generazione tra fine ‘900 e oggi sono nel programma. Giulia Lorusso sorprende e dà indicazioni circa alcune delle tendenze osservabili nella musica contemporanea «colta» più recente. Il suo Entr’ouvert per pianoforte ed elettronica non ha nessuna parentela con la storia lunga delle avanguardie. Ostinati e arpeggi e interludi conversativi si susseguono in un brano in cui il richiamo alla filosofia tonale è forte e in qualche passaggio c’è un po’ di impressionismo «facile» unito a una sorta di free melodizzante. Opera sincera, a cuore aperto. Il Cecil Taylor degli ultimissimi tempi, pacificato (addomesticato?), faceva cose simili.
Katharina Roth si dedica a sonorità ed effetti «stregoneschi» in Snake Charmer per flauto basso, clarinetto basso, percussioni, violino, violoncello e con un organico ridotto a quartetto persegue sempre soluzioni effettistiche ma è più risolta, più magica e favolistica in Kleine Erzählungen. Kathrin Angela Denner fa ascoltare con Vertical loop task per flauto, clarinetto, pianoforte, violino, viola, violoncello una sorta di «allegro» classico nonostante la costante aritmia e lo spezzettamento di frammenti motivici tra gli strumenti. Si apre a melodie arcane con passaggi molto emozionali per il clarinetto basso – l’organico è lo stesso del precedente pezzo – in Wisteria blu. Dove un’altra tendenza della musica nuova è documentata ed è il ritorno al lirismo.

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