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Inspiral Carpets, l’arte irriverente della mucca pop

Inspiral Carpets, l’arte irriverente della mucca popInspiral Carpets

Intervista/La band di Clint Boon torna a 25 anni dall’esordio La formazione inglese, tra i nomi di riferimento della scena «Madchester», arriva in Italia. Unica data giovedì prossimo, al Circolo degli Artisti, Roma

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 20 settembre 2014

Sembra di ascoltare le prime interviste degli Zombies quando Clint Boon, tastierista e cantante degli Inspiral Carpets, dichiara che il ricordo più significativo degli inizi della carriera della band è legato ai tour, alla possibilità di conoscere il mondo e uscire dal proprio quartiere. Un sogno vero e proprio per i componenti della band, tutti di estrazione operaia. Gli Zombies anch’essi inglesi, esponenti eleganti della British Invasion, erano poco più che studenti quando trovarono il loro successo con She’s not There nel 1964, ma fatta salva la distinzione di tempo e genere, il galvanizzante senso di superamento dei confini asfittici della provincia inglese suona identico.

Gli Inspiral Carpets emersero nell’ambito della scena baggy, psychedelic-post punk nella seconda metà degli anni Ottanta in quel vivaio di rock, sperimentazioni e tensioni sociali che fu l’area metropolitana di Manchester, vero e proprio laboratorio di cultura giovanile grazie al successo dei Joy Division maturato già agli inizi di quel decennio. Un impasto di melodie indovinate e di accelerazioni in stile garage anche se alcuni hanno colto nei loro brani l’attitudine effimera e di circostanza di una musica furba e nostalgica delle belle cadenze del British sound, frutto di calcolo e lontane dalle acide e appassionate visioni post punk rave della «Madchester» autentica.

Sono trascorsi 25 anni dal debutto degli Inspiral Carpets con l’ep Planecrash. Dopo quell’episodio che li collocò tra le band di punta della scena della città inglese, già ben nutrita di nomi quali Happy Mondays e Stone Roses, ci fu la puntata in una delle storiche Peel Session e a seguire un po’ di provocazioni confezionate ad arte che costituirono di lì in poi il repertorio degli atti ribelli e creativi come il celebre slogan «Cool as Fuck» (fresco come merda), con l’immagine di una mucca un po’ fulminata con spessi occhiali da sole neri stampata sulle t-shirt. Pare che il gadget abbia venduto molto più dei loro dischi. Da qui la critica mossa spesso alla band di badare più alle operazioni ad effetto che alla sostanza musicale.

Incontriamo Clint Boon alla vigilia della data romana prevista per il 25 prossimo in occasione del venticinquesimo anniversario di attività del Circolo degli Artisti, e la prima domanda riguarda proprio lo spirito irriverente veicolato dagli Inspiral Carpets e che da sempre identifica certe espressioni del rock più controcorrente. «Lo spirito provocatorio come quello racchiuso nello slogan stampato in accompagnamento al nostro ep omonimo del 1990 è una costante nella popular music. Anzi la pop music in sé è un imprescindibile veicolo per scioccare gli ascoltatori, lo fu per i Sex Pistols lo è oggi per Miley Cyrus».

– Che cosa ha significato per voi l’alternative music dell’area di Manchester e quanto realmente vi siete sentiti parte di quella scena?

– È stata un’esperienza magnifica, c’era un gran fermento in quegli anni, un’atmosfera vivace e colorata. È stato bellissimo farne parte. Per quello che riguarda le definizioni come alternative music o altro, che dire, sono etichette di comodo che ci aiutano durante le conversazioni con gli amici, come oggi dubstep, hip hop, indie. Penso che questo risponda all’esigenza della gente di avere dei compartimenti nei quali inserire la musica. Tutti lo facciamo, rende più facile parlare di musica.

– Guardando alla carriera e alla specificità del suono, cosa pensi sarebbero stati gli Inspiral Carpets senza l’organo Farfisa e in questo senso quali sono state le band seminali per voi, penso alle compilation Nuggets o alle esperienze psycho-garage americane come i Cramps.

– Non c’è dubbio che il suono garage e le band punk sono state di ispirazione per noi per anni. Se dovessi dire i nomi delle band che ho amato di più citerei The Seeds, 13th Floor Elevators, The Doors, The Stranglers. Ho amato tutti gli album delle serie Nuggets e Pebbles. Personalmente ancora conservo una bella collezione di dischi psichedelici su vinile. In quest’ottica l’organo Farfisa è un elemento imprescindibile per noi.

– La band oggi è composta dai membri storici: oltre te ci sono Graham Lambert alle chitarre, Craig Gill alla batteria, Martyn Walsh, subentrato al basso negli anni del successo al primo bassista Mark Hughes, e Stephen Holt cantante all’epoca delle prime sortite discografiche e live ufficiali. Avete avuto una carriera veloce in un arco di tempo di 6 anni dal 1989 al 1995. Poi il silenzio. In questi ultimi anni non si contano le band storiche legate alla scena garage punk, new wave e post punk che hanno avuto un’attività fatta di silenzi e di improvvise riapparizioni (i conterranei Buzzcocks e gli Undertones, per citarne alcune), qual è stato nel vostro caso il percorso che ha portato a riunirvi nel 2003?

– L’ultimo nostro concerto fu nel 1995, da quell’anno abbiamo smesso di lavorare insieme, ciascuno di noi ha lavorato alle rispettive carriere. Questo ha avuto come conseguenza quella di perdere il tocco come band. Nel 2003 una nostra vecchia casa di distribuzione musicale chiuse l’attività e tutti noi ci incontrammo per decidere cosa fare. Durante quegli incontri ci rendemmo conto che tra di noi c’era ancora una buona alchimia e fu questo il motivo che ci ha portato a riunirci.

– Parliamo del vostro ultimo album intitolato con il nome della band che raccoglie 12 pezzi originali. Quali sono state le idee principali su cui avete lavorato in questi mesi e che ruolo ha quest’album rispetto ai quattro che costituiscono l’intera discografia della band in termini di creatività, sfida e originalità?

– Innanzitutto questo è il primo disco che realizziamo con Cherry Red dopo lunghi anni di collaborazione con la Mute. In realtà pur mantenendo legami ancora molto forti con loro per vari aspetti del nostro lavoro quando la Cherry Red si è fatta avanti ci è sembrato il momento migliore per ragionare su un nuovo album. Inspiral Carpets è il nostro primo lp dopo 20 anni ed è già il mio preferito. Abbiamo anche rimesso le mani nelle nostre primissime incisioni e ad aprile in occasione del Record Store Day abbiamo ristampato il nostro primo demo tape del 1988 Dung 4. Quando si è materializzata l’idea di registrare un nuovo album, abbiamo inciso il brano Let You Down. C’è una sezione centrale del brano nella quale abbiamo un po’ improvvisato nello stile dei Doors. Qualcuno notò che il suono sarebbe stato più brillante con un intervento di John Cooper Clarke (celebre poeta e performer punk, per alcuni più noto con lo pseudonimo di Lenny Siberia, fu sul palco con Linton Kwesi Johnson, Sex Pistols, Fall, Joy Division, Buzzcocks, Siouxsie and the Banshees, Elvis Costello, ndr). Così l’ho portato a Manchester un pomeriggio e abbiamo registrato il pezzo ed effettivamente il risultato è molto convincente. Clarke è una leggenda perché il suo modo di vedere le cose del mondo e di commentare gli avvenimenti sociali è unico. Ora ha raggiunto il vertice, l’ho visto recentemente e per me potrebbe competere con Bob Dylan e Russell Brand. Sorprendente a guardarlo. Con Inspiral Carpets siamo al meglio del nostro suono garage, siamo consapevoli dei nostri limiti e delle nostre energie e non abbiamo spinto oltre rispetto a ciò che oggi sono gli Inspiral Carpets. Le canzoni sono semplici racconti di vita, amore e frustrazione che tutti noi cinque abbiamo sperimentato nel corso della nostra vita.

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