Economia

Insegnanti e bidelli ogni anno perdono potere d’acquisto

Insegnanti e bidelli ogni anno perdono potere d’acquisto

Rapporto dell'Aran: dal 2008 hanno perso circa 80 euro al mese Gli insegnanti e il personale Ata sono sempre più poveri. Lo attesta rapporto semestrale Aran. Dall’inizio della crisi nel 2008 hanno perso circa 80 euro al mese, una cifra da […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 17 gennaio 2016

Gli insegnanti e il personale Ata sono sempre più poveri. Lo attesta rapporto semestrale Aran. Dall’inizio della crisi nel 2008 hanno perso circa 80 euro al mese, una cifra da brivido per persone che difficilmente superano uno stipendio da 1500 euro. Il loro contratto è bloccato dal 2009 e questo è il modo in cui lo Stato è riuscito a risparmiare di più, in assoluto: sui redditi dei dipendenti, eliminando gli aumenti di anzianità. Un vecchio pallino che ha spinto Renzi ad annunciare l’abolizione degli scatti di anzianità nella prima versione della Buona scuola. Un tentativo scongiurato dalle incertezze del governo sui cosiddetti «scatti di merito» e dalla resistenza del movimento della scuola.

L’Aran dimostra che dal 2011 l’incremento degli stipendi di insegnanti e bidelli è stato sempre inferiore alla crescita dei prezzi al consumo. Nella legge di Stabilità il governo Renzi ha previsto aumenti miserabili da 5 euro a testa. Detratte le ritenute fiscali, resteranno 3 euro e 50. Questo sarà l’esito dei 300 milioni di euro stanziati. La perdita di migliaia di euro sugli aumenti di diritto non sarà certamente colmato.

La cifra giusta, calcolata da tutti i sindacati, dovrebbe essere 220 euro medi a testa (comprensivi dell’indennità contrattuale bloccata fino al 2018) che corrispondono a un investimento tra i 5 e i 10 miliardi l’anno, cioè presumibilmente quanto lo Stato potrebbe aver guadagnato sulle spalle dei lavoratori pubblici negli anni dell’austerità e dei tagli alla scuola. La distanza tra i 10 miliardi di euro necessari e i 300 milioni messi a disposizione dal governo Renzi è il segno tra la realtà e le sue intenzioni di sfuggirgli.

Si può fare una breve storia della deliberata intenzione di penalizzare economicamente, e professionalmente, il personale più maltratato di tutti i paesi Ocse. Tutto inizia con il primo «governo del disastro» (la definizione è di Luciano Gallino): il governo Berlusconi. L’allora ministro dell’Economia Tremonti stabilì il blocco dell’indennità fino al 2012. Il governo Letta, con un tratto di penna, prorogò il blocco fino al 2018. Renzi ha dovuto fare qualcosa perché la Corte costituzionale lo ha obbligato a rimediare al blocco della contrattazione.
Una conferma dell’immiserimento degli statali è venuta dal conto annuale della Ragioneria generale dello Stato sul 2014. Le retribuzioni medie annue pro capite sono diminuite dello 0,5% rispetto al 2013. L’importo medio annuo si è fermato a 34.348 euro, con 175 euro in meno del 2013. Solo nel 2008 troviamo un valore più basso. Con una inflazione che dal 2008 a oggi è stata del 13,6%, gli aumenti contributivi sono stati del 9,5%; una differenza di oltre 4 punti.
Questo andamento al ribasso dei redditi e la verticale perdita del potere d’acquisto si incastra con il blocco del turn-over e con l’allungamento dell’età pensionabile imposto dalla riforma Fornero. Questi due elementi hanno aumentato ancora di più l’età media dei dipendenti pubblici che nel 2014 ha raggiunto i 49,2 anni, quasi sei anni in più rispetto ai 43,5 del 2001. Nel 2016 la ferrea legge imposta dalle politiche di austerità farà schizzare l’età media oltre i 50 anni. Nel 2019 supererà i 53 anni.

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